domenica 31 gennaio 2010

Videodrome - Recensione

Videodrome
Canada, 1983, colore, 89 min
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura: David Cronenberg
Cast: James Woods, Deborah Harry, Les Carlson, Jack Creley, Sonja Smits

Max Renn (James Woods) dirige a Toronto un piccolo canale televisivo trash che trasmette sesso e violenza. Un giorno scopre grazie al suo assistente Harlan una trasmissione pirata, Videodrome, che trasmette snuff movie. Contemporaneamente si innamora di una presentatrice radiofonica, Nicki Brand (Deborah Harry), che sotto la scorza puritana nasconde un’indole masochista e sogna di apparire in quel programma.
Max vuole a tutti i costi contattare chi si cela dietro Videodrome e lo farà avvicinando il professor O’Blivion, fondatore di una “religione catodica” e inventore nonché prima vittima della trasmissione, e Barry Convex, rappresentante della multinazionale dalla mire totalitarie Spectacular Optical. Ma Max viene colpito da un delirio allucinatorio che abolirà tutte le frontiere tra realtà, sogno e immaginazione, forse a causa del segnale-videodrome che causa un tumore al cervello. Divenuto una sorta di videoregistratore vivente che tutti possono programmare e pedina all‘interno di una cospirazione, cercherà la trasmigrazione in una non meglio precisata “nuova carne”.

Cronenberg dissemina Videodrome di una tale quantità di elementi di dubbio che lo spettatore può legittimamente considerare la cospirazione come una delle componenti del delirio del narratore. Assistiamo infatti ad una profusione di immagini la cui provenienza non è mai definita e ampiamente sospetta. L’abilità di Cronenberg sta nell’alternare immagini sane ad altre contagiate dall’allucinazione provocando in noi un dubbio sistematico. Ma da quando si può dire che Max è in preda alle allucinazioni? Sono davvero causa dell’esposizione al segnale-videodrome? Come risultato lo spettatore non riesce mai ad identificarsi pienamente con Max, in quanto non può capire se questi è la vittima di un complotto oppure è lui stesso ad allucinarsi la vita modellandola sui propri desideri, dei quali Videodrome rappresenta la concretizzazione. Una delle scene più pregnanti in questo senso è quella in cui Convex posa sulla testa di Max un “casco da allucinazioni” che permette di visualizzare e registrare le allucinazione generate dal segnale-videodrome. Attraverso il visore del casco, Max dapprima comincia a intravedere forme imprecisate, che a poco a poco raggiungeranno lo stadio di definizione video e che con l’apparizione di Nicki diventeranno chiare e nitide come la pellicola cinematografica. Lo spettatore è costretto a farsi carico della veridicità dell’allucinazione, della sua realtà incarnata nell’immagine. D’ora in avanti ogni immagine e ogni informazione del film può apparirgli dubbia o il prodotto di una mente distorta, portandolo inoltre a rimettere in discussione quanto visto in precedenza. Nicki e Bianca, la figlia del professor O’Blivion, potrebbero non esistere affatto ed essere nella loro fusione il prototipo della donna ideale di Max, così come la Spectacular Optical potrebbe essere semplicemente l’archetipo della multinazionale in grado di inglobare una piccola emittente come la Civic TV, generando nel suo direttore un incontrollabile istinto omicida/suicida. Ma si potrebbero trovare innumerevoli altre chiavi di lettura tutte egualmente confermabili. Max potrebbe persino essere uno psicotico allo stadio terminale e non essersi mosso per tutto il tempo dalla sua stanza.
Una cosa è sicura: Cronenberg con Videodrome ha dato vita ad una brillante metafora sul potere dell’immagine.

lunedì 25 gennaio 2010

Triangle - Sottotitoli

Triangle
UK/Australia, 2009, colore, 99 min
Regia: Cristopher Smith
Sceneggiatura: Christopher Smith
Cast: Melissa George, Liam Hemsworth, Michael Dorman, Emma Lung


Sottotitoli Triangle



venerdì 22 gennaio 2010

Letters from a Dead Man - Sottotitoli

Pisma myortvogo cheloveka
Unione Sovietica, 1986, bianco e nero/colore, 87 min
Regia: Konstantin Lopushansky
Sceneggiatura: Konstantin Lopushansky, Boris Strugatsky
Cast: Rolan Bykov, Viktor Mikhaylov, Iosif Ryklin

In un mondo devastato da un’apocalisse nucleare a causa di un errore del sistema di lancio computerizzato, un gruppo di sopravvissuti di cui non sapremo mai il nome medita sull’estinzione della propria specie. Dal rifugio sottostante il museo delle scienze di una città imprecisata, uno scienziato premio Nobel flagellato dal senso di colpa (Rolan Bykov) sopravvive grazie alla speranza che il figlio sia ancora vivo. Mentre quel che resta della popolazione si avvia ad abbandonare la superficie del pianeta per rinchiudersi in un bunker per un centinaio d’anni, lo scienziato è convinto che da qualche parte del globo la vita sia ancora possibile. Scrive giornalmente delle lettere al figlio che diventano un pretesto per lanciare uno sguardo sull’umanità che ha trovato nella scienza, trasformandola da portatrice di progresso a dispensatrice di morte, la materializzazione della propria indole autodistruttiva. L’ultima lettera del film non sarà opera dello scienziato ma sue saranno le ultime parole che caricano il finale di uno spiraglio di speranza. Parole che durante l’ultimo esodo verso il nulla continueranno a riecheggiare. “Perché fino a quando un uomo cammina, c’è ancora speranza per lui”.

Sottotitoli Letters from a Dead Man

Latchkey's Lament

Pare sia un periodo fortunato per gli autori di cortometraggi di genere fantasy/sci-fi. Ultimamente sono stati frequenti i casi in cui registi di rilievo, dopo una folgorazione da corto, hanno deciso di accogliere giovani di talento sotto la propria ala protettiva e produttiva. Dopo Neill Blomkamp che ha trovato in Peter Jackson il suo nume tutelare e Shane Acker che è riuscito a far colpo su Tim Burton e quel tizio russo che fa film fantasy di sconcertante bruttezza, è la volta di Troy Nixey. Il suggestivo corto in questione, dal sapore steampunk, ha assicurato a Nixey la regia del suo primo lungometraggio, Don’t Be Afraid of the Dark, basato sulla serie televisiva omonima del 1973 e prodotto da Guillermo Del Toro.



domenica 17 gennaio 2010

Tag 26

Tag 26 (Giorno 26), diretto dal tedesco Andreas Samland e risalente al 2003, è senza dubbio il corto post-apocalittico più toccante e disperato che mi sia capitato di vedere. La strada scelta è quella del realismo e ci viene mostrata la vita di due sfortunati individui che, dopo un imprecisato disastro biologico, sono perennemente isolati all'interno di tute protettive. Niente infetti che si tramutano in zombie ma la storia della profonda amicizia che si viene ad instaurare tra due uomini che non si sono mai parlati nè visti in faccia. Stupendo e liberatorio il finale, pur nella sua drammaticità.


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sabato 16 gennaio 2010

I Guerrieri Della Palude Silenziosa - Recensione

Southern Comfort
USA/Svizzera/UK, 1981, colore, 106 min
Regia: Walter Hill
Sceneggiatura: Walter Hill, David Giler, Michael Kane
Cast: David Carradine, Powers Boothe, Fred Ward, Peter Coyote, Brion James

Non lasciatevi ingannare dal titolo italiano, modellato sulla falsariga de I Guerrieri della Notte, che farebbe pensare ad un qualsiasi film horror di serie-z, Southern Comfort (questo l’ironico e azzeccato titolo originale) merita assolutamente di essere visto. I nove uomini che compongono l’unità dovranno percorrere una trentina di chilometri attraverso un territorio caratterizzato da una natura ostile per ricongiungersi con il resto del battaglione. I protagonisti, a eccezione di due, tra battute maschiliste e scherzi idioti ci vengono presentati fin da subito per quello che sono: una manica di sempliciotti. Le immagini del paesaggio opprimente della Louisiana accompagnate dalla malinconica chitarra blues di Ry Cooder fanno da sfondo alla marcia di questo eterogeneo manipolo di uomini. Ma a causa dell’esondazione di un fiume, parte del tragitto previsto diviene impraticabile. Decidono allora di “prendere in prestito” alcune canoe appartenenti ai cacciatori cajun, la popolazione francofona del luogo. Come se non bastasse, uno dei soldati, sprizzante simpatia da tutti i pori, scarica una sventagliata di mitra a salve sui legittimi proprietari. Il risultato non si fa attendere: colpo di fucile, cranio del sergente scoperchiato. È solo l‘inizio. Braccati da un nemico implacabile e invisibile i soldati restanti cominceranno a cadere come mosche mentre il gruppo comincia a sfaldarsi e i singoli rivelano una natura psicotica e violenta. E all’improvviso la paludi della Louisiana divengono tremendamente simili a quelle del Vietnam. Nel suo farsi metafora, Southern Comfort offre spunti che verranno trattati praticamente in qualsiasi pellicola sulla sporca guerra degli anni a venire: la scarsa preparazione militare di fronte a quello che sembra un altro mondo, il basso livello sociale e culturale dei soldati, la perdita di quel senso di invincibilità, su cui la retorica patriottica solitamente marcia a tutto spiano, di fronte a nemici che scompaiono a piacimento come fantasmi. Il risultato è un potente atto d’accusa antimilitarista che potrebbe benissimo essere riassunto dalle parole di un cajun ai superstiti: “ Questa è la nostra casa e nessuno può romperci i coglioni”. A buon inteditor…
Hill, maestro della contaminazione di genere, riesce a creare un tutt’uno armonico mescolando sapientemente film di guerra, thriller e western con uno stile asciutto ma sempre efficace. Nonostante il ritmo lento Southern Comfort mantiene alto il livello di inquietudine, con picchi di alta tensione, per la sua intera durata. Da antologia la sequenza finale nel villaggio cajun con un montaggio alternato, a cui si sovrappone un’incalzante ballata popolare, fra gente in festa, rapide occhiate paranoiche e maiali scannati. Bisogna attendere letteralmente fino all’ultima immagine del film per trarre un sospiro di sollievo.
Bravo il terzetto Keith Carradine-Powers Boothe-Fred Ward e fa la sua comparsa anche Brion James (il futuro Leon di Blade Runner).

venerdì 15 gennaio 2010

Cypher - Recensione

Cypher
USA, 2002, colore, 95 min
Regia: Vincenzo Natali
Sceneggiatura: Brian King
Cast: Jeremy Northam, Lucy Liu, David Hewlett, Nigel Bennett

Dopo il claustrofobico debutto con Cube, realizzato con due lire e molta fantasia, Vincenzo Natali torna alla regia con una nuova storia labirintica che esplora i temi di realtà, identità e manipolazione. Stavolta non saremo chiamati ad esplorare un avveniristico cubo kafkiano ma a scoprire la verità che si cela in mezzo al groviglio di identità, doppi e tripli giochi, che questo thriller fantascientifico ci propone nella sua struttura a scatole cinesi.
L’anonimo ed insicuro Norman Sullivan (Jeremy Northam) decide di accettare un incarico per la Digicorp, una multinazionale che si occupa di spionaggio industriale. Gli vengono forniti una nuova identità, da gestire a suo piacimento (reinventandosi nell‘uomo di mondo Jack Thursby), e il compito apparentemente semplice di assistere a convention sparse per il paese e registrare il tutto. Ad una di queste convention Norman, già completamente immedesimato nel suo alter-ego, incontra la femme-fatale Rita (Lucy Liu) che sembra sapere molte cose sul suo conto e lo informa che non tutto è come sembra. Quello che era partito come un affascinante gioco per uscire dalla monotonia della quotidianità si rivela essere parte di una finzione globale in cui tutti, consapevoli o meno, recitano la propria parte in un copione già scritto e dove i lavaggi del cervello sono all’ordine del giorno.
Sebbene il ritmo del film sia piuttosto lento, i diversi twist che cambiano radicalmente le carte in tavola mantengono vivo l’interesse dello spettatore per l’opaco mondo di Cypher.
Il look fantascientifico del film si deve in larga parte ad una fotografia asettica capace di donare un’atmosfera straniante ad un’ambientazione decisamente attuale. Interessante l’utilizzo del colore che segue di pari passo l’evoluzione del personaggio di Norman man mano che si avvicina alla consapevolezza della propria identità. Immancabili le strizzate d’occhio al cinema noir, dal quale la fantascienza distopica spesso attinge (Blade Runner, Brazil, Gattaca).
Curiosamente la sceneggiatura risulta criptica ed ingarbugliata nello svolgimento della storia ma non altrettanto nei suoi sottotesti. È evidente la metafora sulla strumentalizzazione delle multinazionali sui propri dipendenti, ridotti a mere pedine di un gioco più grande di loro.
Lo stile ricercato del regista canadese che si trova a proprio agio con le geometrie degli interni ben si presterà all’adattamento del classico di J.G. Ballard “Il Condomio“.

lunedì 11 gennaio 2010

Nomina Domini

Nomina Domini
Svizzera, 2000, colore, 22 min
Regia: Ivan Engler
Sceneggiatura: Ivan Engler
Cast: Pascal Ulli, Martin Huber, Gilles Tschudi


Questo corto risalente al 2000, dal regista dell'imminente Cargo, lascia ben sperare sulla qualità di quest'ultimo. L'atmosfera è chiaramente debitrice de Il Nome della Rosa con contaminazioni tecnologiche. Gli effetti speciali sono decenti ma quello che colpisce è il sapiente utilizzo delle luci, vedere per credere. La visione è disponibile a questo indirizzo. Chi non mastica il tedesco può scaricare il corto con DownloadHelper o programma analogo e utilizzare i nostri sottotitoli.

Sottotitoli Nomina Domini

sabato 9 gennaio 2010

I film del 2010 più attesi da Freezone

Tralasciando il blasonato Avatar oramai in dirittura d'arrivo (con la distrubuzione italiana fanalino di coda NEL MONDO), ecco cosa riserverà questo 2010 agli appassionati di fantascienza. Premetto che solo per un paio di questi titoli è confermata l'uscita nelle sale italiane.


1) THE ROAD














Padre e figlio e la loro odissea per la sopravvivenza in un gelido e spoglio mondo post-apocalittico.
Trattato dal romanzo Cormac McCarthy e diretto da John Hillcoat, già messosi in mostra con l'ottimo The Proposition.
Con Viggo Mortensen, Charlize Theron, Robert Duvall, Guy Pearce.
Presentato in anteprima al Festival di Venezia non è ancora prevista un'uscita italiana.




2) DAYBREAKERS














Seconda prova registica, dopo lo scorrevole e senza troppe pretese Undead, per i fratelli Michael e Peter Spierig che con Daybreakers decidono di dire la loro sul filone vampiresco.
Nel 2019 il mondo viene investito da una pestilenza che tramuta la maggior parte della popolazione in vampiri. Divenuti la specie dominante provvedono alla propria sopravvivenza utilizzando gli umani non mutati come riserva di sangue. Le premesse e quanto visto nel trailer fanno ben sperare.
Ottimo il cast che comprende Ethan Hawke, Sam Neill, Willem Defoe e Isabel Lucas.
Uscita prevista: 19 marzo




3) SPLICE














Splice continua a rimanere un oggetto misterioso. L'ultimo film di Vincenzo Natali (Cube, Cypher), nonostante la presenza di Adrien Brody e Sarah Polley, sta avendo non poche difficoltà a trovare qualcuno disposto ad investire nella sua distribuzione. Le poche informazioni riguardo al film parlano di azzardati esperimenti genetici volti a creare una nuova creatura. Il risultato di tali esperimenti potete trovarlo nella clip sottostante.




4) INCEPTION














Sulla trama di Inception vige il più assoluto riserbo. Ci è dato sapere solo che il thriller di Christopher Nolan si svolgerà nei meandri della mente del protagonista che, a giudicare dal teaser, risulta parecchio incasinata. In attesa di conoscere ulteriori dettagli, il primo film che mi viene in mente è Stay.
Cast stellare: Leonardo Di Caprio, Michael Caine, Ellen Page, Joseph Gordon-Levitt, Marion Cotillard, Cillian Murphy




5) REPOMEN














Jude Law star di un film d'azione? Ebbene sì!
Una compagnia chiamata The Union è riuscita a estendere e migliorare la vita dell'uomo grazie all'invenzione di sofisticati, e soprattutto costosi, organi meccanici. In caso di mancato pagamento del conto, la compagnia non ci pensa due volte a riprendersi ciò che le appartiene tramite i recuperatori del titolo, anche attaverso metodi poco ortodossi. Remy (Jude Law), il miglior recuperatore sulla piazza, ottiene un cuore nuovo in seguito ad un infarto sul lavoro ma, impossibilitato a pagare il debito, si ritrova sull'altro lato della barricata: da cacciatore a preda.




6) 8TH WONDERLAND














Gli amanti degli scenari fantapolitici adattati alle nuove tecnologie e dei libri di Cory Doctorow potrebbero trovare interessante questo piccolo film canadese, dove gente da ogni parte del mondo decide di unirsi online e creare uno stato virtuale in contrapposizione ai paesi del G8.




7) METROPIA














Interessantissimo film d'animazione svedese ambientato in un futuro distopico tra echi di Brazil e shampoo che trasformano i capelli in antenne e la gente in marionette dei potenti. Uscito alla fine del 2009 in Svezia, il DVD sarà mio non appena disponibile.




8) CARGO














Promettente film svizzero che va ad inserirsi nel filone fantascienza claustrofobica su astronave alla deriva nello spazio. La speranza è che sia più simile a Pandorum che a Event Horizon.

venerdì 8 gennaio 2010

A Boy and His Dog - Recensione

A Boy and His Dog
USA, 1975, colore, 91 min
Regia: L.Q. Jones
Sceneggiatura: L.Q. Jones, Alvy Moore
Cast: Don Johnson, Jason Robards, Susanne Benton, Tim McIntire (voce)


Al contrario della televisione, il cinema non ha mai pensato di sfruttare le potenzialità della vasta gamma di racconti partoriti dalla mente di Harlan Ellison. Se sul versante televisivo, il pluripremiato scrittore ha lavorato come sceneggiatore e consulente creativo per svariate serie di successo (Twilight Zone, The Hunger, Babylon 5), A Boy and His Dog rappresenta l’unico adattamento cinematografico di una sua opera. Tratto dall’omonimo racconto breve del 1969, questo stravagante film a basso costo diretto da L.Q. Jones inizialmente doveva basarsi su una sceneggiatura dello stesso autore. A quanto pare Ellison incappò nel classico blocco dello scrittore e lo script venne ultimato da regista e produttore, senza snaturare in alcun modo il materiale di partenza. A Boy and His Dog narra le vicissitudini di sopravvivenza quotidiana di Vic (un giovanissimo Don Johnson, non ancora investito dalla fama di Miami Vice), ambientate nell’Arizona post-apocalittica del 2024 al termine della quarta guerra mondiale. Vic è accompagnato dal fido cane Blood con il quale è in grado di comunicare telepaticamente e i dialoghi tra i due rappresentano il fulcro del film. Il compito di Blood è quello di scovare grazie al suo fiuto le donne, che visti i tempi se ne stanno ben nascoste, per un Vic con gli ormoni perennemente in subbuglio ed evitare che il ragazzo incappi negli “screamers“, sorta di nomadi mutanti radioattivi. Tra i due, Blood, oltre ad essere ferrato in storia, è sicuramente quello più intelligente e dotato di maggiore esperienza. I problemi sorgono quando Vic si rifiuta di ascoltare i consigli del cane. L’ultima preda del duo, la bella Quilla June Holmes (Susanne Benton), si rivela essere una scafata seduttrice e riesce a convincere un totalmente assuefatto Vic ad accompagnarla nel mondo da cui proviene, la città sotterranea di Topeka. Una volta giunto sul posto, Vic si trova di fronte ad una versione da incubo, sotto forma di parodia, dell’America puritana e rurale degli anni 50 dove tutti sono pallidi per la mancanza di sole e si uniformano coprendosi il volto di cerone bianco stile mimo. Topeka ha grandi piani per Vic, ma quella che sembrava una proposta allettante, ingravidare l’intera componente femminile della città, si trasforma in un incubo. In linea con il sopracitato puritanesimo di questa società bigotta e patriarcale, il contatto fisico non è per nulla fattibile. Così il povero Vic, viene collegato ad una macchina per l’estrazione di sperma, passando le giornate a riempire una boccetta dopo l‘altra. La fuga è d’obbligo.
Non si può parlare di A Boy and His Dog senza citare i magnifici dialoghi permeati da un ironico cinismo, senza scadere in banalità o in una ricerca del sarcasmo a tutti i costi. Naturalmente buona parte del merito, soprattutto per i dialoghi di Blood, va ad Harlan Ellison, ma è efficace anche lo script di J.Q. Jones che riesce ad integrare i dialoghi nella narrazione senza forzature e a costruire un rapporto unico tra Vic e il suo canino amico e mentore, nonché vera star del film. Il messaggio del film (complice anche il periodo di stesura del racconto) è essenzialmente libertario. Topeka oltre ad essere luogo di rigidi costumi morali è teatro di lotte intestine dove qualsiasi mezzo è lecito per entrare a far parte del “Comitato” che la governa. Tra il vagabondaggio nell’inospitale deserto post-apocalittico ed entrare a far parte della middle-class corrotta e conservatrice, unica forma di civiltà rimasta in piedi dopo l’olocausto, il nostro Vic non ha dubbi in proposito. Quest’ultima parte, che precede il finale nuovamente all’aperto, vuoi per il cambio di registro che vira troppo sul farsesco, vuoi per la momentanea assenza di Blood, risulta la meno riuscita. Pare che Ellison abbia gradito il film ad eccezione del finale. Senza entrare nel dettaglio, io l’ho trovato esilarante ma all’epoca dell’uscita venne tacciato di misoginia. Fatto piuttosto ridicolo in quanto, vista la forza del legame tra i due protagonisti e la connotazione non certo positiva della ragazza, risulta assolutamente logico.
Il film è stato distribuito con vari titoli: Apocalypse 2024, Psycho Boy and His Killer Dog. Naturalmente quello italiano “Un ragazzo, un cane, due inseparabili amici”, manco fosse qualche cartone animato strappalacrime stile Belle e Sebastien, non lo batte nessuno.
Sul web è possibile reperire facilmente i sottotitoli in italiano.

mercoledì 6 gennaio 2010

Sherlock Holmes - Recensione

Sherlock Holmes
USA, 2009, colore, 128 min
Regia: Guy Ritchie
Sceneggiatura: Michael Robert Johnson, Anthony Peckham
Cast: Robert Downey Jr., Jude Law, Rachel McAdams, Mark Strong, Kelly Reilly

Si ritorna al 221b di Baker Street. La creatura più famosa nata della penna di Sir Arthur Conan Doyle è pronta per una nuova incarnazione cinematografica in questo blockbuster action-ironico che non poteva che fare la sua apparizione durante il periodo festivo. Nella Londra vittoriana, il rinomato detective Sherlock Holmes (Robert Downey Jr.) aiutato dal fido Dr. Watson (Jude Law) arresta il misterioso Lord Blackwood nel bel mezzo di un rito sacrificale. Blackwood viene condannato all’impiccagione ma quando la sua tomba viene trovata forzata dall’interno e un testimone oculare lo vede andare in giro come se nulla fosse, il nostro campione di logica deduttiva non può che rallegrarsi per aver trovato un caso alla sua altezza. Al timone di questo nuovo franchise di successo troviamo quel Guy Ritchie che ha costruito la sua carriera con film, incentrati su piccoli criminali del caotico sottobosco malavitoso londinese, impregnati di ironia spaccona e con una sgargiante resa visiva. La scelta poteva sembrare azzardata, ma si è rivelata vincente. Ritchie stupisce con una ricostruzione a tinte dark riccamente particolareggiata di una Londra al massimo della sua gloria industriale e della decadenza sociale a tutti i livelli. Chiudono il cerchio sette massoniche dedite all’occulto e un vago sapore steampunk. La figura di Holmes, pur mantenendo intatto l’acume che da sempre la contraddistingue, viene riplasmata per adattarsi il più possibile a Robert Downey Jr. Ne viene fuori un Holmes decisamente eccentrico, dall’ego smisurato e la lingua tagliente che fonde insieme l’uomo d’ingegno e quello d’azione. La parte più riuscita del film è rappresentata dal rapporto ottimamente concepito tra Holmes e Watson. Il loro continuo rimbeccarsi a vicenda e l’alchimia creatasi tra i due attori danno alla pellicola una marcia in più. Jude Law svolge un lavoro meno appariscente ma di gran lunga migliore di quello del collega che risulta fin troppo autocompiaciuto e lasciato a briglia sciolta, sempre pronto ad esibire ruffianamente una faccetta buffa.
La trama è incredibilmente lineare e i vari misteri vengono svelati con cura certosina meglio di una puntata di CSI. Fa la sua comparsa anche l’arcinemico di Holmes, il Dr. Moriarty, il cui volto viene furbescamente lasciato nell’ombra. Le speculazioni su chi lo interpreterà nel sequel sono già aperte.
Le basi sono state poste, adesso toccherà a Ritchie osare di più nei capitoli successivi.

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