mercoledì 28 luglio 2010

Assault Girls

Asaruto gâruzu
Giappone, 2009, colore, 65 min
Regia: Mamoru Oshii
Sceneggiatura: Mamoru Oshii
Cast: Yoshikazu Fujiki, Rinko Kikuchi, Meisa Kuroki, Hinako Saeki

Dai creatori della simulazione virtuale Avalon è in arrivo un nuovo ambiente di gioco chiamato Avalon-F. Solo una ristretta cerchia di giocatori è chiamata a testarlo prima che venga diffuso su larga scala. Scopo del gioco è eliminare le gigantesche suna kujira (balene della sabbia) ovvero una scopiazzatura dei vermi della sabbia di Dune in versione gioco di ruolo giapponese. La loro uccisione permette di guadagnare punti da utilizzare per acquistare armi più potenti e veicoli in grado di facilitare il compito. Per completare il livello è necessario scovare e distruggere l’elusivo e ancora più enorme boss di fine livello. Gli individualisti giocatori, tre donne (Gray, Colonel e Lucifer) e un uomo (chiamato con grande originalità Jäger, ossia cacciatore), dovranno unire le forze per raggiungere l’obiettivo.

Può un film di poco più di un’ora essere mortalmente noioso? La risposta è scontata.
I primi quindici minuti vengono impiegati, utilizzando immagini fisse e voce fuori campo (che quantomeno è comprensibile), per spiegare il contesto socio-politico del mondo reale che abbiamo già avuto modo di conoscere in Avalon, al termine dei quali facciamo finalmente la conoscenza dell’arido campo di battaglia e delle creature che lo popolano. Come era lecito attendersi le scene d’azione, sbandierate nel trailer, che ricorrono ad un massico uso di CG si limitano a due episodi isolati di breve durata, rispettivamente all’inizio e alla fine della pellicola. In mezzo scorre la monotonia dell’attesa tanta cara al regista nipponico e la noia dello spettatore. Se Avalon poteva contare sulla ricercatezza geometrica delle inquadrature effettuate per lo più in interni e sul sapiente uso del colore che amplificava il senso di irrealtà, Assault Girls è il trionfo della banalità. Inquadrature insignificanti che sembrano estratte da un servizio fotografico per cosplayer, dove le nostre solitarie eroine dall’inesistente psicologia stanno ferme in posa plastica guadando l’infinito o vagano meditabonde mentre la voce del master di gioco continua a ripetere ad oltranza che se non fanno gruppo non si va da nessuna parte. Ricorrenti riprese di una lumaca bavosa, che riassume perfettamente l’incedere del film, interrompono questi poetici e toccanti momenti. Caliamo un velo pietoso sulle scenette di Lucifer, l’idiota del gruppo.
Oshii dal canto suo è più interessato a cercare nuove forme di ibridazione tra cinema e videogame (come il combattimento tra Jäger e Gray con tanto di “Round 1 Fight“) e a citare ironicamente i suoi precedenti lavori (Ghost in the Shell) che alla costruzione dei personaggi e di una trama. Ironicamente l’attenzione psicologica riservata ai protagonisti/personaggi è di gran lunga inferiore a qualsiasi videogame odierno.
I pochi dialoghi del film sono recitati in inglese con sottotitoli in giapponese. Sarebbe meglio dire nell’inglese parlato dai giapponesi che non ha non ha nulla a che vedere con l‘inglese. Tanto valeva salvare la dignità degli attori facendoli parlare nella loro lingua madre visto che non si capisce nulla comunque.

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