giovedì 4 febbraio 2010

The Road - Recensione

The Road
USA, 2009, colore, 111 min
Regia: John Hillcoat
Sceneggiatura: Joe Penhall
Cast: Viggo Mortensen, Kodi Smit-McPhee, Robert Duvall, Charlize Theron, Guy Pearce, Molly Parker

Un’imprecisata Apocalisse ha ridotto il mondo ad una distesa di cenere portando al cannibalismo buona parte di un’umanità allo sbando. Un padre e suo figlio (Viggo Mortensen e Kodi Smith-McPhee) attraversano le rovine di questa terra bruciata in direzione dell’oceano dove sperano di trovare condizioni climatiche leggermente favorevoli ma appare fin da subito che la sola meta loro concessa è la mera sopravvivenza. Portano con sé, oltre al “fuoco” dell’umanità, ciò che nel nuovo corso ha ancora un valore: un carrello della spesa con i rari viveri che riescono a rimediare, un telo di plastica per ripararsi dalla pioggia, una pistola dai colpi contati con cui difendersi o eventualmente togliersi la vita per non finire come carne da macello.

La domanda che sorge spontanea è: quanto è fedele il film allo stupendo romanzo di Cormac McCarthy? Se esteticamente sono state operate delle scelte in netto contrasto col il mondo creato dallo scrittore, d’altra parte la maggior parte delle scene è stata copiata dalle pagine del libro fin nei minimi dettagli. Stessa sorte per quanto riguarda i dialoghi e la voce fuori campo di Viggo Mortensen identica ai pensieri del suo alter ego letterario. Quest’ultima, assolutamente non necessaria, evidenzia come il film sia stato colpito dalla sindrome di Blade Runner, ovvero il modo in cui i produttori (in questo caso i fratelli Weinstein, e ho detto tutto) decidono di venire incontro al grande pubblico e ai propri interessi spiegando tutto lo spiegabile. Ma non si può parlare di direttive dall’alto senza menzionare il terrificante montaggio. Di The Road esistono un numero imprecisato di versioni tutte egualmente mortificate da un montaggio effettuato a colpi di mannaia e la colpa non è da imputarsi al povero Jon Gregory. Quando poi vengono aggiunte delle scene non presenti nel romanzo, queste vanno dal patetico (il pianoforte usato come combustibile) al ridicolo (la fede gettata dal parapetto).
Da parte sua, il regista John Hillcoat decide di girare il film a colori tradendo la descrizione mccarthyana di un paesaggio rigidamente monocromatico avvolto in una coltre di cenere che non lascia filtrare i raggi del sole. Non che l’ambientazione non sia suggestiva (e le scene girate nelle zone colpite dall’uragano Katrina sono di sicuro impatto) ma non permette al film di distinguersi da altre pellicole post-apocalittiche. Inoltre il momento dell’apparizione dell’arcobaleno (unica nota di colore in tutto il romanzo) di fronte al bambino perde tutta la sua forza. Con rammarico anche uno degli aspetti che più mi aveva colpito nel romanzo, quella sensazione di freddo che attanaglia il lettore al pari dei personaggi, non è riscontrabile nel film.
Di routine le prove dei due attori protagonisti. L’intensissimo legame tra padre e figlio, reso nel romanzo con una manciata di parole che nascondono un calore umano fortissimo, avrebbe meritato di meglio. Assolutamente da incorniciare invece i cinque minuti di Robert Duvall.
Come nel precedente film di Hillcoat, The Proposition, la colonna sonora è affidata al duo Warren Ellis-Nick Cave.
In definitiva un onesto film post-apocalittico con un paio di buoni momenti e, almeno per il sottoscritto, non particolarmente coinvolgente a livello emotivo. Le difficoltà distributive (per una volta non solo in Italia) dovute ad un’eccessiva tristezza anticommerciale della pellicola fanno ridere i polli.

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