tag:blogger.com,1999:blog-36028419911186661752024-03-14T15:59:11.485+01:00FreezoneCount Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.comBlogger151125tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-87152615719877614312012-11-30T11:16:00.000+01:002012-11-30T11:16:47.057+01:00The Day - Recensione<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnVDVsZHJE35TZ3QKVFW6na_GQmz-h6LgL9AuXovdmD9s6glxo78ZuUT_vnmjNKxITcGxWOOQxX-aIUJaLL9ek5eNc6oVjJ-f1z8at35a7iuloWK6TvTHtMTlv6q_LQQNVFhNooQ3_Lpd8/s1600/The+Day+Poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnVDVsZHJE35TZ3QKVFW6na_GQmz-h6LgL9AuXovdmD9s6glxo78ZuUT_vnmjNKxITcGxWOOQxX-aIUJaLL9ek5eNc6oVjJ-f1z8at35a7iuloWK6TvTHtMTlv6q_LQQNVFhNooQ3_Lpd8/s320/The+Day+Poster.jpg" width="216" /></a></div>
<b><span style="font-size: medium;">The Day</span></b><br />
<b><span style="font-size: medium;">USA, 2012, colore, 87 min</span></b><br />
<b><span style="font-size: medium;">Regia: Douglas Aarniokoski</span></b><br />
<b><span style="font-size: medium;">Sceneggiatura: Luke Passmore</span></b><br />
<b><span style="font-size: medium;">Cast: Shawn Ashmore, Ashley Bell, Dominic Monaghan,
Cory Hardrict, Shannyn Sossamon, Michael Eklund</span></b><br />
<br />
<b><span style="font-size: medium;">
</span></b>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;">Un rappresentante del
filone post-apocalittico maggiormente orientato verso l'azione mi
mancava. Se non erro, l'ultimo esponente fu <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.it/2010/06/codice-genesi-recensione.html">Codice Genesi</a> ma sono
ricordi spiacevoli ed è meglio passare rapidamente oltre. Per prima
cosa, se avete già dato un'occhiata al <a href="http://www.youtube.com/watch?v=zeTEaPbuuxU">teaser trailer di The Day</a> e
siete amanti della buona musica, segnatevi il nome della canzone
(Yasmin the Light degli Explosions In The Sky) e fatela vostra.
Ancora meglio, fate vostro l'intero album senza lasciare che la
lunghezza del titolo (Those Who Tell the Truth Shall Die, Those Who
Tell the Truth Shall Live Forever) vi susciti antipatia perchè ne
vale la pena.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;">La vicenda prende vita
dieci anni dopo un'imprecisata catastrofe. Non ne conosceremo mai le
cause, vedremo solo le conseguenze: fame, razziatori e tribù di
cannibali. I cannibali in particolare, che in The Road facevano
un'apparizione tanto fugace quanto destinata a rimanere scolpita
nella mente, vengono eletti a minaccia numero uno. Un gruppo
costituito da cinque giovani superstiti è diretto verso un luogo
idoneo alla coltivazione dove piantare radici e i rari semi che si
portano dietro.<span style="font-size: medium;"> </span>Ne fanno parte Rick
(Dominick Monaghan, i cui personaggi sono affetti dalla sindrome di
Sean Bean), nelle vesti del leader, il suo amico di vecchia data Adam
(Shawn Ashmore), il malaticcio Henson (Cory Hardrict) e Shannon
(Shannyn Sossamon), l'emotiva del gruppo che copula col leader. Non
bisogna lasciarsi trarre in inganno dall'aspetto minuto dell'ultima
arrivata Mary (Ashley Bell), la cui brutalità e ferocia nel
combattere è uno dei motivi di maggiore godimento della pellicola.
Il ruolo del cattivo di turno è invece affidato al viso affilato di
Michael Eklund, che ho trovato grandioso in <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.it/2012/05/divide-recensione.html">The Divide</a>. Per scelte
professionali mi ricorda molto il Gary Oldman dei primi tempi, quello
specializzato in ruoli di psicotico e violento. Non posso dire che
gli attori siano tutti tagliati per il ruolo ma trovare un cast di
tutto rispetto in una produzione dal budget così ridotto è un
valore aggiunto.<span style="font-size: medium;"> </span>Salta subito all'occhio
come la fotografia sia un plagio di quella del già citato The Road,
toni grigi, quasi del tutto desaturati. Quindi bella ed evocativa.
Qualche magagna arriverà col sopraggiungere della notte dove la
fotografia è troppo scura e nelle scene più concitate risulta
difficile capire cosa stia succedendo. Non so se sia una scelta
stilistica ma per un film d'azione non è proprio il massimo.<span style="font-size: medium;"> </span>Le condizioni di Henson
peggiorano ed il gruppo trova riparo dalla pioggia all'interno di una
casa abbandonata. A proposito di Henson, il suo stato di salute è
una variabile impazzita. E non mi riferisco alle botte di adrenalina
che scaturiscono da un povero cristo che gradirebbe evitare di
diventare la cena di un tizio con la cresta e della sua allegra
famigliola. Passa da moribondo a qu<span style="font-size: medium;">asi </span>pimpante secondo criteri ignoti
a tutti tranne che allo sceneggiatore Luke Passmore. Sorpresa delle
sorprese, la cantina della casa è piena di scorte di generi
alimentari. Troppo bello per essere vero. Una trappola scatta e la
sirena comincia a suonare. Da questo momento in poi comincia
l'assedio, la lotta per la sopravvivenza nell'arco di una giornata.
La trama è tutta qui, lineare e senza fronzoli, che prevede un sacco
di azione e non si tira indietro nel mostrare violenza e fiumi di
sangue in CGI. Volendo sottilizzare, vista la superiorità numerica
schiacciante dei cannibali e la penuria di munizioni dei nostri, non
ci sarebbe da discutere sull'esito dello scontro. Va bene che il
nemico è rappresentato da gente comune che dopo anni di stenti ha
deciso di adottare differenti abitudini alimentari ma la loro
attitudine al suicidio lascia perplessi. Assalti suicidi a parte, a
rendere meno improbabile il tutto ci pensa Mary, che oltre ad essere
una furia scatenata, padroneggia bene la strategia del terrore,
impalando le teste mozzate dei nemici caduti come monito. Qualcuno
però spieghi all'attrice che sei vuoi apparire una fumatrice
credibile, il fumo deve essere immesso nei polmoni prima di essere
espirato e non trattenuto semplicemente in bocca soffiando quella
ridicola nuvolona. Che poi per apparire cazzuti mica bisogna essere
per forza fumatori e tu, Aarniokoski, in questi casi non insistere
troppo su di lei. Prima che si scateni l'inferno notturno, anche
all'interno della casa hanno i loro grattacapi. La scena della
tortura è ben girata e di notevole impatto emotivo, con la buona
prova di Ashmore che pare abbia fortemente voluto il ruolo, forse per
cercare di scrollarsi di dosso l'immagine del bravo ragazzo mutante.
Solo che la metamorfosi di Adam in efferato torturatore sembra un po'
forzata. Non del tutto improbabile viste le circostanze ma più che
un calderone di rabbia pronto a esplodere sembrava un tizio in
procinto di spararsi un colpo in testa, con quella maschera del
dolore per la morte della moglie e della figlia perennemente calata
sul viso. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;">Insomma The Day si colloca
dalle parti dell'intrattenimento senza troppe pretese. Ha tra le
frecce del suo arco una prima mezz'ora molto d'atmosfera e il ferale
personaggio di Mary (fumo a parte) alla quale, nel finale, basta un
colpo di coltello per esprimere efficacemente la sua posizione sul
concetto di famiglia nel mondo post-apocalittico, tema su cui si
insiste parecchio sia dalla parte dei buoni che dei presunti cattivi.
E potrebbe non avere tutti i torti. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: medium;">In una vecchia intervista
risalente al Fantasy Fest 2011, Luke passmore collocava The Day come
capitolo centrale di una trilogia già scritta che dubito verrà mai
realizzata.</span></div>
<br />
Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-61613098364686179992012-11-04T10:06:00.000+01:002012-11-04T10:07:15.624+01:00Resident Evil: Retribution - Recensione<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZyfD_jQQEtwjNd9ZGsB1tfC7cHmb5m_UP1ICVgUfIWrH6n3qAV3jto6B3i90fSnpeTmuslLvHlLM7mRxWB5nE1tdl48PWEqD3nshSGzN4Ls9_2Qs6GvYa205uLsu_aTeHBfm2-qqe941X/s1600/Resident+Evil+Retribution.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZyfD_jQQEtwjNd9ZGsB1tfC7cHmb5m_UP1ICVgUfIWrH6n3qAV3jto6B3i90fSnpeTmuslLvHlLM7mRxWB5nE1tdl48PWEqD3nshSGzN4Ls9_2Qs6GvYa205uLsu_aTeHBfm2-qqe941X/s320/Resident+Evil+Retribution.jpg" width="224" /></a></div>
<b>Resident Evil: Retribution</b><br />
<b>Germania/Canada, 2012, colore, 96 min</b><br />
<b>Regia: Paul W.S. Anderson</b><br />
<b>Scenggiatura: Paul W.S. Anderson</b><br />
<b>Cast: Milla Jovovich, Sienna Guillory, Michelle Rodriguez, Bingbing Li, Boris Kodjoe, Johann Urb, Kevin Durand, Oded Fehr, Shawn Roberts</b><br />
<br />
I film della serie Resident Evil non hanno mai brillato in quanto a storia ma in quest'ultimo capitolo viene abbandonata totalmente qualsiasi pretesa di plot per concentrarsi unicamente su una sequela di momenti d'azione pompatissimi quanto a lungo andare monotoni e interminabili. Tenendo conto della struttura di Retribution, mai come in questo caso è corretto parlare di livelli più che di scene. Nemmeno il precedente capitolo, <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.it/2010/09/resident-evil-afterlife.html">Resident Evil: Afterlife</a> si era spinto a tanto. D'altro canto, e lo dico non senza rammarico, la saga videoludica ha intrapreso un percorso di abbandono della struttura da Survival Horror che l'ha portata nel corso degli anni ad uniformarsi sempre più con quanto ci viene proposto da Anderson. In questo contesto dove le sequenze si configurano come forsennate e convulse sessioni di gioco action, i cari vecchi zombie dall'andatura claudicante sarebbero fuori posto. Vengono rimpiazzati da qualche umano infetto tarantolato che si immola come carne da macello, destinato a lasciare spazio alla propensione al gigantismo del bestiario geneticamente modificato di Anderson, che rispolvera, raddoppiandole di numero o di dimensioni, alcune vecchie conoscenze. L'introduzione di Retribution riprende l'epilogo del quarto capitolo, riproponendolo ed estendendolo tramite ralenti al contrario per fare capire che alla regia c'è lui, Paul W.S. Anderson, e un'ossessione è un'ossessione. Segue riassunto delle puntate precedenti per chi volesse sentire la voce di Milla/Alice per più di cinque secondi, ossia la durata media delle battute che pronuncia nel resto del film. Al termine del riepilogo troviamo un allegro quadretto familiare con un'inedita Alice in versione casalinga danarosa, il marito Carlos (Oded Fehr) e la figlia sordomuta Becky. L'idillio è destinato ben presto a finire quando il sobborgo residenziale viene invaso da un'orda di infetti. Mentre Carlos mutato sta per posare i tentacoli su di lei, si conclude questa piccola parentesi senza colpi di kung-fu e spacconate. Uno dei test del “Progetto Alice” è finito. Il nuovo clone della protagonista si sveglia (coperta solo da un fazzoletto di tessuto, come da prassi) all'interno dell'enorme base sottomarina della Umbrella Corporation situata sotto i ghiacci. Da qui in avanti si assiste unicamente al tentativo di fuga verso la superficie attraverso una serie di stage (le repliche di Tokyo, New York, Mosca e del sobborgo iniziale) tra Licker anabolizzati, raccordi tra le scene affidati alla solita mappa tridimensionale e ininfluenti ritorni di personaggi. Tramite l'espediente della clonazione c'è di nuovo spazio, stavolta tra le fila dei cattivi, per Michelle Rodriguez, Colin Salmon e qualcun altro. Un'operazione inutile che non va al di là del riconoscimento visivo perché nessuno ha un personaggio da interpretare. Stesso discorso vale per i componenti della squadra di recupero che vede tra le sue fila un paio di new entry buttate dentro a casaccio (Leon Kennedy, Barry Burton). Burton interpretato da Kevin Durand è l'unico che abbia un briciolo di caratterizzazione. Ma non c'è tempo da perdere con queste inezie, Anderson va troppo di fretta, ansioso di condurci al prossimo scontro. Una concezione che si muove nella direzione inversa rispetto a certe produzioni videoludiche odierne che ricercano un'attenzione narrativa e contenutistica sempre maggiore per farsi veicolo di emozioni ma anche di riflessioni. Qui al massimo si riflette su quanto prudesse a Milla la tutina in latex. Anche il tentativo di umanizzare Alice facendole instaurare un rapporto madre-figlia con la clone Becky resta ad un livello superficiale. Retribution come nei film precedenti pone le premesse per il capitolo successivo, il sesto ed ultimo, facendolo nel modo più spettacolare possibile. E c'è da scommetterci, sarà la versione sotto amfetamine di questo, che a sua volta è la versione sotto amfetamine di Afterlife.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-85415609937489244462012-11-02T17:52:00.001+01:002012-11-11T11:11:37.579+01:00Il canto di Paloma<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSdMCVwZ1QJWoCcVPxwFSyGheeUG2gM0e00LKUf1Gs57mctHUH-9QFPPBoDXQdPWBQ5Lnk46kEYBblLFlydECeeWl8uCJmZs4de_Exnz4CqO3YPwZyKw2ABXvhKvWkTiARjysCESMuSzFq/s1600/Il+canto+di+Paloma.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSdMCVwZ1QJWoCcVPxwFSyGheeUG2gM0e00LKUf1Gs57mctHUH-9QFPPBoDXQdPWBQ5Lnk46kEYBblLFlydECeeWl8uCJmZs4de_Exnz4CqO3YPwZyKw2ABXvhKvWkTiARjysCESMuSzFq/s320/Il+canto+di+Paloma.jpg" width="223" /></a></div>
<span style="font-size: small;"><b>La teta asustada</b></span><br />
<span style="font-size: small;"><b>Spagna/Perù, 2009, colore, 94 min</b></span><br />
<span style="font-size: small;"><b>Regia: Claudia Llosa</b></span><br />
<span style="font-size: small;"><b>Sceneggiatura: Claudia Llosa</b></span><br />
<span style="font-size: small;"><b>Cast: Magaly Solier, Marino Ballón, Susi Sánchez, Efraín Solís, Bárbara Lazon, Karla Heredia, Antolín Prieto</b></span><br />
<br />
Fausta (Magaly Solier), ventenne peruviana, è cresciuta sopraffatta dall'incubo di essere violentata come era accaduto alla madre incinta di lei negli anni '80, caratterizzati da violenza, stupri e terrorismo durante la guerra civile. Fausta vive in un ambiente chiuso, dominato da superstizioni tramandate e accettate come reali, che portano tutti gli abitanti di un quartiere povero di Lima a considerare inevitabile il comportamento della giovane. Proprio la madre morente le ricorda, con una cantilena straziante che ci può apparire come una sorta di testamento, di averle trasmesso questa “malattia”, avendola allattata con il latte del dolore. La violenza subita dalla madre si ripercuote sulla psiche della figlia, il suo ricorco (che Fausta sente sulla pelle perché l'ha vissuto quando era “dentro il suo ventre”) la tormenta, determinando un'incapacità di stabilire legami ed affetti che vadano oltre il ristretto ambiente familiare. Vive marginalmente i contatti, sfuggendo come è lecito aspettarsi sopratutto le figure maschili e assiste senza particolare coinvolgimento emotivo allo scorrere della propria vita. Già da anni, come modalità difensiva, ha introdotto un tubero in vagina (non viene lasciato spazio ad alcuna morbosità) con conseguenti infezioni e germogliamenti. Una svolta avverrà alla morte della madre. Spinta dal desiderio di riportarla nel suo paese natio e offrirle un degno funerale, si vedrà costretta, per trovare i soldi necessari, ad accettare lavoro come domestica nella villa di una pianista affermata ma dalla vena creativa un po' offuscata. Ma anche nel nuovo ambiente porta una maschera di dolore, è una sorta di automa. Si scioglie solo nel momento del canto: le cantilene inventate sul momento sono l'unico mezzo per essere trasportata fuori dai suoi momenti più dolorosi. Proprio una di queste cantilene verrà plagiata con enorme successo dalla concertista che, con violenza di classe schiacciante, non dimostrerà alcuna gratitudine nei confronti della creatrice. Considerata pericolosa, Fausta verrà licenziata e abbandonata per strada. Ma nonostante Il canto di Paloma sia tanto duro e spietato verso la sua protagonista, le cui tragedie sono le tragedie di un popolo, non chiude le porte a qualsiasi speranza. Trovare un posto dove abbandonare le proprie paure e aprirsi alla vita è possibile e Fausta incontrerà un uomo, un giardiniere, che riuscirà a farla “germogliare”. E il difficile cammino intrapreso nel tentativo di liberarsi dallo stato di morte interiore, tramandatole da una madre che aveva trasformato il suo vissuto nel presente della figlia, culminerà nella riconquista della vita. Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-65802053310118174692012-09-12T14:38:00.003+02:002012-09-12T14:44:32.471+02:00L'industriale<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_GrXOsuNp7UEyak0zM621-s8UmLTbzAXQh8NGR4CyPQBmAOM8JARE8Dbw9jWPEkXNkW04WhZrzDgH7KzVwmXz7qDYuE04tAY0xXi6A7_qOMrUQn4LYr3zH3I2uHA69Lvk9FkctsDOKgol/s1600/L%2527industriale.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 224px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_GrXOsuNp7UEyak0zM621-s8UmLTbzAXQh8NGR4CyPQBmAOM8JARE8Dbw9jWPEkXNkW04WhZrzDgH7KzVwmXz7qDYuE04tAY0xXi6A7_qOMrUQn4LYr3zH3I2uHA69Lvk9FkctsDOKgol/s320/L%2527industriale.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5787268925531988130" border="0" /></a><b>L'industriale<br />Italia, 2011, colore, 94 min<br />Regia: Giuliano Montaldo<br />Sceneggiatura: Giuliano Montaldo, Andrea Purgatori<br />Cast: Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini, Francesco Scianna, Elena Di Cioccio, Andrea Tidona</b><br /><br />La storia si svolge nella Torino dei nostri giorni, a fare da sfondo alla crisi economica che attanaglia tutta l'Italia. Nicola (Pierfrancesco Favino) e Laura (Carolina Crescentini) appartengono alla Torino bene, lui piccolo industriale che ha ereditato l'azienda dal padre, lei affermata architetta figlia di ricchi produttori vinicoli. L'agiatezza e un'apparente serenità familiare ne caratterizzano la vita ma la crisi economica colpirà anche loro (o meglio lui), facendo emergere un malessere nella coppia destinato a sfociare in una crisi profonda. Nicola si trova nella condizione di perdere tutto ciò che ha in qualche modo contribuito se non a rafforzare quantomeno a portare avanti. Troppo orgoglioso per chiedere un prestito alla suocera arpia, che forte della posizione economica potrebbe tranquillamente aiutarlo (non senza ottenere vantaggi per sé), scivolerà in una cupa depressione che metterà in luce le basi non proprio solide su cui poggia il suo matrimonio: la trasformazione da vincente che non scende a compromessi a uomo in crisi dominato dall'ansia di fallimento (resa ancora peggiore dalla volontà di non vanificare il lavoro di una vita del padre, figura fortemente presenta pur nella sua assenza) allontana Laura, che già non disdegna le attenzioni di un operaio rumeno, dal marito. Intanto banche e società finanziarie svolgono egregiamente la loro funzione di avvoltoi e si sottolinea la scarsa attenzione che l'Italia ripone nelle fonti di energia alternative e nella ricerca a loro correlata (la fabbrica destinata al fallimento produce pannelli solari). Crisi economica e sentimentale viaggeranno a braccetto almeno fino a quando la seconda prenderà nettamente il sopravvento. Purtroppo infatti, quello che ha prima vista potrebbe apparire come uno spaccato della crisi economica visto dagli occhi dei padroni, rivela ben presto la sua vera essenza di drammone sentimentale sulla disgregazione di un matrimonio. Il salvataggio della fabbrica da parte dell'orgoglioso Nicola perde visibilità nel corso della narrazione fino ad essere relegato sullo sfondo per fare capolino nel tragicomico finale. I riferimenti a temi di attualità sono presenti e graditi ma quando il film abbandona la strada del cinema di denuncia sociale per dedicarsi unicamente ai soporiferi tentativi di Nicola di non perdere la moglie -e il problema è che succede decisamente presto- spariscono pure loro. Non è il film che mi sarei aspettato, altrimenti non mi sarei avventurato in un genere per me indigesto. <br /><br />Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-64905365722990221712012-07-22T17:26:00.006+02:002012-08-02T18:18:01.430+02:00L'angolo dell'avventuriero: Beneath a Steel Sky<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizUE0rv_HBdfxA7wB2HLZnqe3hRvEIm1p5Lv2jQofpJplfvB6dPNGzEvgnGqdKz3A-9U00owJbN010QjS9BXSSo2YX-1Chv2obHgXc4y7RnpZgNTHOyzGYetJ7khz_hO0fSRSXVbtKCJyI/s1600/Beneath+a+Steel+Sky+logo.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizUE0rv_HBdfxA7wB2HLZnqe3hRvEIm1p5Lv2jQofpJplfvB6dPNGzEvgnGqdKz3A-9U00owJbN010QjS9BXSSo2YX-1Chv2obHgXc4y7RnpZgNTHOyzGYetJ7khz_hO0fSRSXVbtKCJyI/s400/Beneath+a+Steel+Sky+logo.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5768016061942846226" border="0" /></a><br />Revolution Software è stata fondata da Charles Cecil, Tony Warriner, David Sykes e Noirin Carmody in Inghilterra nel 1990 come reazione alle avventure grafiche della Sierra. Il loro primo gioco, Lure del Temptress, non riscosse molti consensi, ma al secondo tentativo azzeccarono il colpo e Beneath a Steel Sky è universalmente riconosciuto come un classico del genere.<br /><br />Beneath a Steel Sky si svolge in un'Australia futuristica dove la maggior parte della popolazione vive in enormi città a conduzione aziendale e piccole tribù si sono stanziate nel deserto conosciuto come The Gap (la Radura nella versione italiana). L'introduzione, affidata al fumetto allegato al gioco ad opera del mitico Dave Gibbons (Watchmen) che ha anche disegnato tutti gli sfondi, racconta la storia di un ragazzino il cui elicottero precipita nel Gap e viene allevato dagli aborigeni. Ricordando solo il suo nome di battesimo, Robert, gli viene conferito il cognome Foster per via di una lattina di birra Foster's Pilsner trovata sul luogo del disastro. Nella versione americana, per evitare violazioni del copyright, il marchio della birra è stato sostituito con “SS IPM RAW" che letto al contrario forma warm piss, piscio caldo. Foster è un ragazzo brillante e riesce a costruire un piccolo robot di nome Joey per tenergli compagnia. Raggiunta l'età adulta si verifica un nuovo sconvolgimento nella sua vita quando un elicottero atterra nella Radura e individui in divisa nazistoide lo rapiscono per riportarlo nella giungla urbana conosciuta Union City, non prima di averne sterminato la famiglia adottiva. Le cose si complicano quando l'elicottero in avaria precipita sulle torri della città lasciando Foster come unico superstite. Come se non bastasse, la polizia locale lo ha classificato come terrorista e comincia a dargli la caccia. Sempre più confuso, Foster vede friggere davanti ai suoi occhi un poliziotto in procinto di arrestarlo, come se una forza invisibile vegliasse su di lui. Comincia così un discesa verso il basso in cerca di risposte.<br /><br />Union City è socialmente stratificata in diversi livelli, con il concetto di acropoli sovvertito. I poveri e gli operai vivono nelle fabbriche ai livelli superiori mentre all'alta borghesia e ai quadri dirigenziali sono riservati i livelli più bassi. L'intera città è controllata dal LINC, un computer che controlla ogni singolo aspetto della vita e a quanto pare ha raggiunto l'autocoscienza dopo essersi fuso con la mente di uno dei suoi creatori. Lo shock culturale per l'ingenuo Foster è enorme, sia per l'eccessivo controllo governativo che per la strana gente in cui si imbatte.<br /><br />La palma di personaggio più divertente e satirico del gioco va al grasso supervisore di fabbrica Gilbert Lamb, che trotterella in giro indossando un cappotto di pelliccia "fatto con gli ultimi dieci castori rimasti al mondo" e il suo doppio mento si può ammirare nella gloriosa bassa risoluzione VGA. Non ha praticamente idea di ciò che fa la sua fabbrica né gliene frega qualcosa. Vive per pavoneggiare il suo status sociale nonostante si mantenga sul vago su come abbia fatto a raggiungerlo. Esaurire il suo conto in banca e abbassarne lo status è un atto di giustizia sociale.<br /><br />A far compagnia a Foster troviamo il fido Joey. Oltre a fungere da spalla comica, è possibile inserire la sua scheda madre in diversi modelli robotici che saranno d'aiuto nel corso dell'avventura. In puro stile cyberpunk è anche possibile interfacciarsi con il LINC, previa operazione per ottenere una porta installata nel cranio in cambio dei testicoli di Foster (post-mortem, per sua fortuna). Nel cyberspazio Foster è rappresentato da un avatar blu che assomiglia parecchio al Dr. Manhattan di Watchmen (chissa come mai) e gli oggetti dell'inventario sono rimpiazzati da comandi più attinenti al mondo virtuale.<br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjw4RvuuB_Eg5p8Av5orkbXN1USSKpLhJSMOGeGT5xj0MPd8UQReeL_QPklYTCJpt4UIyQpHYmPeqaREX9e4QvD2wLmkYyZaRiPd_y6VoVQQVaeV2M6l0EKbGp335LPbrUihjo7oKpOXNYd/s1600/Beneath+a+Steel+Sky+comic.png"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 216px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjw4RvuuB_Eg5p8Av5orkbXN1USSKpLhJSMOGeGT5xj0MPd8UQReeL_QPklYTCJpt4UIyQpHYmPeqaREX9e4QvD2wLmkYyZaRiPd_y6VoVQQVaeV2M6l0EKbGp335LPbrUihjo7oKpOXNYd/s320/Beneath+a+Steel+Sky+comic.png" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5768019586564549698" border="0" /></a><br />Anche se all'apparenza si potrebbe pensare il contrario, ho trovato Beneath a Steel Sky un gradino più maturo rispetto ad altre avventure grafiche dell'epoca. Una coesistenza un po' straniante tra atmosfera opprimente e situazioni umoristiche. Sepolto sotto quintali di battute come vuole la tradizione e musichette scanzonate, il tono è più tetro e adulto di quanto possa sembrare, anzi una volta entrati nelle gallerie della metropolitana per scoprire i segreti del LINC il fattore demenziale sparisce del tutto. L'ottima scrittura tiene in piedi questo delicato equilibrio.<br /><br />Il gioco presenta una versione migliorata del motore Virtual Theatre, già utilizzato in Lure of the Temptress, la cui caratteristica principale è che i personaggi non giocanti vanno in giro e parlottano tra di loro in maniera apparentemente casuale. In Lure andarli a cercare per l'area di gioco era un delirio, qui le cose vanno un po' meglio perchè non vanno mai troppo lontano.<br /><br />Beneath a Steel Sky funziona perfettamente sui sistemi operativi odierni attraverso l'uso di ScummVM ed è oramai freeware. È possibile scaricare una copia gratuita da GOG. Nel 2009 venne rilasciata una versione rimasterizzata per iPad e iPhone che si dimostrano piattaforme ideali per le vecchie avventure grafiche. Recentemente Cecil e Gibson hanno affermato di aver avuto un'ottima idea per una futura collaborazione videoludica. Visti i rispettivi impegni con il nuovo capitolo della serie Broken Sword e il fumetto Secret Service scritto da Gibson in tandem con Mark Millar, non se ne parlerà tanto presto.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-61629782926024425922012-07-15T19:09:00.002+02:002012-07-15T19:31:12.938+02:00Men in Black 3<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnbYgBl10itb5Phttdbc41OXCqWLxN1TU0RUJkLowO-jVZqsYYyEDm7RUhlI3tAf_vjcAaKWdDsrZt7JyYg9Bdh8ln2jOVgXncMllYMc491sd174XoyMQ718-HdXKMxf992lvEXCjnIXz0/s1600/MeninBlack3.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 215px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnbYgBl10itb5Phttdbc41OXCqWLxN1TU0RUJkLowO-jVZqsYYyEDm7RUhlI3tAf_vjcAaKWdDsrZt7JyYg9Bdh8ln2jOVgXncMllYMc491sd174XoyMQ718-HdXKMxf992lvEXCjnIXz0/s320/MeninBlack3.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5765445055341942514" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">Men in Black 3</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">USA, 2012, colore, 106 min</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Regia: Barry Sonnenfeld</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Sceneggiatura: Etan Cohen</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Cast: Will Smith, Tommy Lee Jones , Josh Brolin, Jemaine Clement, Emma Thompson, Michael Stuhlbarg, Alice Eve, Bill Hader</span><br /><br /><span style="font-style: italic;">Il supercriminale alieno Boris L'animale evade dalla prigione di massima sicurezza situata sulla Luna per vendicarsi dell'agente K che quarant'anni prima l'aveva gettato in galera dopo avergli staccato un braccio. Il piano prevede un salto temporale nel passato nel tentativo di uccidere il giovane K e impedire la creazione di un sistema di difesa orbitale che ha portato la sua razza all'estinzione. L'agente J lo seguirà a ruota per salvare il collega e la Terra stessa.</span><br style="font-style: italic;"><br />Quando uno studio si rivela essere a corto di idee per un franchise, la via più comoda è quella di riportarlo indietro nel tempo, magari in un periodo storico attualmente molto sfruttato dal cinema USA, gli anni '60. Dato che Men in Black 3 nasce come blockbuster-rimpiazzo del cancellato Spiderman 4 di Sam Raimi e la sua sceneggiatura è stata più volte riscritta in corso d'opera, era lecito attendersi un risultato che avrebbe richiesto l'uso di un neuralizzatore per rimuovere ogni traccia del film il prima possibile. Invece sorprendentemente, pur non essendo esente da difetti, MIB 3 funziona abbastanza bene e si colloca maggiormente vicino al capostipite del 1997 che all'orrendo sequel. Bisogna subito sottolineare che la sceneggiatura è di una semplicità inaudita, tuttavia il film riesce a mantenere un'energia frenetica e il ritmo giocoso per buona parte del film, concedendosi persino qualche momento dolceamaro. A tale proposito vengono alla luce alcuni retroscena che chiariscono la dimensione paterna che il personaggio di K assumeva nei confronti di J nel primo film. Il rammarico maggiore è che la New York del 1969 recava in sé tutta una serie di possibilità che, o per pigrizia o per mancanza di coraggio, sono appena abbozzate. Le potenzialità c'erano, solo che non vengono sfruttate a dovere. Per esempio, lo spaesamento di un afroamericano di oggi alle prese con una società per molti versi bigotta e razzista resta confinato in una gag e mezzo e la vena pop è piuttosto sottotono. È la stessa New York del 1969 ad essere poco dettagliata. Togliendo l'approssimarsi del lancio dell'Apollo 11, qualche auto d'epoca e il divertente incontro con Andy Warhol intento a fotografare modelle aliene nella Factory, non si ha molto l'impressione di trovarsi nel passato.<br /><br />Nel cast spicca la performance di Josh Brolin, che interpreta il giovane ma non per questo più loquace agente K. Brolin fornisce un'emulazione praticamente perfetta del lavoro svolto da Tommy Lee Jones sul personaggio. Neanche a dirlo, il film poggia sulle sue spalle e quelle di Will Smith, che quando la smette di credersi l'attore serio che non è e ritorna alla sua dimensione originaria se la cava benone. Una breve partecipazione anche per Tomyy Lee Jones il cui ruolo è stato largamente e saggiamente ridimensionato. I segni del tempo si vedono eccome. La scelta è assolutamente condivisibile, appare chiaro che la stanchezza del personaggio è la stanchezza dell'attore. Jemaine Clement, sepolto sotto tonnellate di make-up, veste i panni del cattivo di turno, Boris l'animale, un tamarro tutto un digrignare di denti che spara aculei dal palmo delle mano. Con l'escamotage del viaggio del tempo i Boris diventano due ma anche sommandoli insieme non fanno un villain da ricordare: nulla a che vedere con Vincent D'Onofrio/Edgar. Il primo incontro tra le due versioni è un esplicito omaggio a Ritorno al futuro, quando il vecchio Biff del futuro mette in riga la sua avventata controparte giovane.<br />Quando Men in Black 3 venne annunciato, mi limitai, come penso molti altri, a fare spallucce. Forse è stata proprio la mancanza di aspettative che mi ha permesso di godermi appieno questo viaggio nel tempo, tema trito e ritrito. A prescindere dalla banalità della trama, non ci si annoia, le battute più o meno riuscite ci sono, Josh Brolin è un valore aggiunto e Mick Jagger è un alieno giunto sulla Terra per inseminare femmine umane. Che altro si può chiedere da un film come questo?<br /><br />p.s.: palesemente indirizzati alla versione 3D sono il vorticoso salto temporale e la scollatura di Nicole Scherzinger. <br style="font-weight: bold;">Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-81986041036048315292012-07-14T11:15:00.006+02:002012-07-14T12:30:39.637+02:00Trailer per l'action post-apocalittico The Day<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFH9kjT4YBjXMXjSN9qfmXPRvmG6aSvxBte-HkBWRlxiT7KWbwV5ZizTiRL3S65ktSQ9QuNvSHKCznSAZau8y2VHCt-CkDY-VZekJrbqm9ZzcyzIKTZKpVFZ4PxVak6A4GOQKTrYiPtfTO/s1600/TheDay.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 211px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFH9kjT4YBjXMXjSN9qfmXPRvmG6aSvxBte-HkBWRlxiT7KWbwV5ZizTiRL3S65ktSQ9QuNvSHKCznSAZau8y2VHCt-CkDY-VZekJrbqm9ZzcyzIKTZKpVFZ4PxVak6A4GOQKTrYiPtfTO/s400/TheDay.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5764958081245856882" border="0" /></a>Scomparso per qualche tempo dai radar, <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.it/2011/01/film-fantascienza-2011.html">The Day</a> si ripresenta con un nuovo trailer e una data d'uscita nei cinema statunitensi fissata per il 29 agosto, sempre che non sia disponibile prima tramite VOD. Per il suo terzo lungometraggio Douglas Aarniokoski (Highlander: Endgame) sceglie il futuro post-apocalittico. In un contesto votato all'azione, The Day segue, nell'arco di ventriquattr'ore, la lotta per la sopravvivenza di alcuni superstiti alla prese con un gruppo di cannibali guidati dal Padre (Michael Eklund, bravissimo in <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.it/2012/05/divide-recensione.html">The Divide</a>). Il cast comprende inoltre Dominic Monaghan (Il signore degli Anelli), Ashely Bell (L'ultimo esorcismo), Shawn Ashmore (X-Men - Conflitto finale) e Shannyn Sossamon (Le regole dell'attrazione).<br /><br /><iframe src="http://www.youtube.com/embed/DDXzVgMihvs" allowfullscreen="" frameborder="0" height="340" width="560"></iframe>Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-54305264672656332012012-07-04T10:37:00.007+02:002012-07-04T11:44:03.590+02:00Aleksander Nordaas' In Chambers<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUU1nEeihR27WlQV6yyzxoxuiDoftKUHBCLYaVF4Wr8YcptFtseJtgj_Hkke8hOjAnSkFCnmxC7uKhjv-F3PKq3040oe9nJdEXgjSDr7xG8t3YtemWlMw2BFYaWzPYMWvUnHITxPNzL8C2/s1600/In+Chambers+-+Bak+lukkede+d%25C3%25B8rer.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 118px; height: 200px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUU1nEeihR27WlQV6yyzxoxuiDoftKUHBCLYaVF4Wr8YcptFtseJtgj_Hkke8hOjAnSkFCnmxC7uKhjv-F3PKq3040oe9nJdEXgjSDr7xG8t3YtemWlMw2BFYaWzPYMWvUnHITxPNzL8C2/s200/In+Chambers+-+Bak+lukkede+d%25C3%25B8rer.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5761230927487786674" border="0" /></a><span style="font-size:100%;"><span style="font-weight: bold;">Bak lukkede dører</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Norvegia, 2008, colore, 9 min</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Scritto e diretto da Aleksander Nordaas</span><br /></span><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='560' height='340' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dzCu8_9Hn6GCvMG6-syiqR0ADb0KUFRbqQ6vYeLqZK-R8sy9n21xwAKtxxU17RJfMFPjxY2hSwdwVmd954Bxg' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe><br /><br />Bella variante di <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.it/2011/11/stay-nel-labirinto-della-mente.html">Stay</a>, non c'è che dire. Quest'anno Nordaas è tornato alla carica con <a href="http://www.imdb.it/title/tt2112287/">Thale</a>, un'altra incursione nel folklore scandinavo dopo i <a href="http://welcome-to-midian.blogspot.it/2011/12/recensione-troll-hunter.html">troll</a> del 2010. Stavolta tocca alla huldra con la sua simpatica coda.<br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhv6IctkVEqmEqdMsRO_ep4R1JWOkYV9eo3TnIBHrdV9CM0pEQIf7nvkWnKy6iUHWDhOeVEo7zIKlkI1_fuAckjupTC5BCSxZKivjw7O1kF_ZP9GpO4BkWPvJhimk1wEUu4LjI450MlqM0N/s1600/Thale.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 302px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhv6IctkVEqmEqdMsRO_ep4R1JWOkYV9eo3TnIBHrdV9CM0pEQIf7nvkWnKy6iUHWDhOeVEo7zIKlkI1_fuAckjupTC5BCSxZKivjw7O1kF_ZP9GpO4BkWPvJhimk1wEUu4LjI450MlqM0N/s320/Thale.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5761246473089181570" border="0" /></a><br /><iframe src="http://www.youtube.com/embed/X4XoSmUoZIY" allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" width="560"></iframe>Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-87141146156189547592012-06-21T14:49:00.000+02:002012-06-21T14:49:56.742+02:00Hell - Recensione<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxNshMEUtbGzrLn8e9buE598ut1wRgKy-fqxVMNU6_gMiI0a0AY_04JNHgSnr8Axvq0ZhSQXdKfsROHqNXcS8eFTigSS5_jz1Bmo0oHPn6lsq_IiwdizyZmbdKwqVRnYf1pwCU4U4yneSK/s1600/Hell+Poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxNshMEUtbGzrLn8e9buE598ut1wRgKy-fqxVMNU6_gMiI0a0AY_04JNHgSnr8Axvq0ZhSQXdKfsROHqNXcS8eFTigSS5_jz1Bmo0oHPn6lsq_IiwdizyZmbdKwqVRnYf1pwCU4U4yneSK/s320/Hell+Poster.jpg" width="226" /></a></div>
<b>Hell<br />Germania/Svizzera, 2011, colore, 89 min<br />Regia: Tim Fehlbaum<br />Sceneggiatura: Tim Fehlbaum, Oliver Kahl, Thomas Wöbke<br />Cast: Hannah Herzsprung, Stipe Erceg, Lars Eidinger, Lisa Vicari, Angela Winkler</b><br />
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2016, lo strato d'ozono è scomparso e
l'intensità dei raggi solari ha decimato la popolazione rendendo la
vita impossibile ai superstiti, ridotti alla costante ricerca di
acqua e crema solare. Dopo un flashback iniziale per farci capire che
in questo mondo privo di strutture sociali gira brutta gente, veniamo
catapultati a bordo di una Volvo scassata con i finestrini oscurati
alla meno peggio. All'interno si trova il nucleo centrale dei
personaggi quasi al completo: Marie (Hannah Herzsprung) con la
sorella minore Leonie e un ragazzo di nome Philip. Il legame tra le
due sorelle è molto forte, quello tra Marie e Philip è basato
sull'amore romantico: lui fornisce auto e protezione, lei ricambia
con una certa vicinanza fisica. Nulla di particolarmente scabroso,
sono le regole della sopravvivenza ed è più lei che sfrutta lui,
chiaramente innamorato. La destinazione finale sono le montagne, dove
potranno imbottigliare personalmente acqua minerale Evian in quantità
(non sto scherzando). Gli uccelli nel cielo lo suggeriscono.
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<div style="margin-bottom: 0cm;">
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Tim Felhlbaum, tedesco classe '82,
decide di affidarsi al sottogenere post-apocalittico per la sua opera
prima, spalleggiato per l'occasione dal connazionale Roland Emmerich
in veste di produttore esecutivo. L'impronta “ignorante” del re
dei blockbuster irrealistici per fortuna non è presente, anche se si
nota la volontà di rendere il film facilmente assimilabile da un
pubblico più vasto possibile, senza eccedere in cattiveria e
disperazione. Sono pronto a scommettere che il titolo ad effetto
Hell, che in tedesco vuol dire luminoso, se lo sia inventato Emmerich
a cui piacciono i doppi sensi faciloni. D'altra parte il titolo di
lavorazione Das ende der nacht, la fine della notte, non era molto
veritiero quindi va bene così.
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<div style="margin-bottom: 0cm;">
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<div style="margin-bottom: 0cm;">
Parte bene Hell, mostrandoci scene di
ordinaria sopravvivenza sotto la minaccia del sole cocente,
sottolineata perfettamente dalla fotografia abbagliante di Markus
Förderer. Azzeccata la scelta in queste fasi di non avvalersi di
colonna sonora, solo luce accecante e silenzio, i personaggi sospesi
in un'atmosfera surreale. Particolarmente apprezzabile è la mancanza
di spiegoni con la contestualizzazione affidata a vecchi quotidiani
abbandonati e ad una breve didascalia iniziale. Così come sono
assenti i piagnistei melensi su quanto è andato perduto. Se il
comparto tecnico riesce a dar vita all'idea di partenza e a creare
un'atmosfera estremamente riuscita pur con un budget limitato, è la
sceneggiatura che non brilla per originalità limitandosi a
percorrere binari abusati e guidandoci verso un happy end che nessuno
metterebbe mai in dubbio. C'è troppa poca cattiveria, Hell non osa,
cerca di non urtare la sensibilità dello spettatore medio. Anche
quando entra in scena una comunità di bifolchi cannibali e i suoi
magazzini stipati di persone in attesa di diventare carne da macello
(qualcuno ha detto The Road?), il film rifugge da immagini troppo
crude o ad alto tasso di malessere emotivo. Non è un brutto film
--l'idea di partenza e la sua realizzazione sono ottime-- solo che
questo viaggio per la sopravvivenza si rivela prevedibile e la
mancanza di sussulti e momenti forti che rimangano impressi lo rende
facilmente dimenticabile.</div>
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<br />
</div>Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-61636066533557075722012-06-14T16:24:00.000+02:002012-06-14T16:24:03.098+02:00Liquid Sky<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRc_OkvQzY1xildCSqKJv2_lo79AXr28HYaUrfFxMpaUEo7UDoRiPF49QqIxe37eOkVuYHO8iovb7Ev82I0IVr_047fvD18Rd815Yekyx5_tUYpFRrazErE9_RET3eD7f0GWNUbzMONg9Y/s1600/Liquid+Sky+Poster.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRc_OkvQzY1xildCSqKJv2_lo79AXr28HYaUrfFxMpaUEo7UDoRiPF49QqIxe37eOkVuYHO8iovb7Ev82I0IVr_047fvD18Rd815Yekyx5_tUYpFRrazErE9_RET3eD7f0GWNUbzMONg9Y/s200/Liquid+Sky+Poster.jpg" width="138" /></a></div>
<span style="font-size: large;"><b>Liquid Sky<br />USA, 1982, colore, 112 min<br />Regia: Slava Tsukerman<br />Sceneggiatura: Slava Tsukerman, Anne Carlisle<br />Cast: Anne Carlisle, Paula E. Sheppard, Susan Doukas, Otto von Wernherr</b></span><br />
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Durante un festino a base di musica New Wave, un piccolo UFO atterra nell'appartamento di Margaret e Adrian, rispettivamente una modella cocainomane e la sua ragazza spacciatrice. Il passeggeri, minuscoli alieni mutaforma, si nascondono in casa all'insaputa della coppia alla ricerca di una fonte molto insolita di nutrimento, le endorfine prodotte dal cervello durante l'orgasmo sotto l'effetto di droghe pesanti. Risvegliatasi dopo una notte di sesso, Margaret trova la sua ultima conquista con un cristallo tagliente che gli sporge dalla testa. Diventa così una pedina nel procacciamento di cibo per gli alieni, utilizzati a loro volta come strumento di rivalsa nei confronti del genere maschile, verso il quale Margaret non nutre molta simpatia in seguito ad esperienze negative. <br /><br />Prodotto a basso costo scritto dal misconosciuto regista russo Slava Tsukerman in collaborazione con l'attrice Anne Carlisle, Liquid Sky è un tripudio alienante di luci psichedeliche e insegne al neon che riesce a cristallizzare lo spirito degli anni '80 sia nei suoi aspetti più superficiali e modaioli che nelle più profonde implicazioni sociologiche. Ne deriva l'impietoso ritratto di una generazione devastata a livello fisico e psicologico dall'invasione delle droghe pesanti. Anne Carlisle, nel doppio ruolo di Margaret e del modello gay e, ovviamente, cocainomane Jimmy, offre una performance di rigida artificiosità e verrà ricordata più come ragazza manifesto dell'androginia che come attrice. Sebbene tecnicamente mostri tutti i segni del tempo, Liquid Sky merita una riscoperta in virtù del suo spirito indipendente e di un approccio unico alla sessualità. Si segnala anche come fonte d'ispirazione per l'estetica electroclash.<br />
<br />Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-91852027421808843392012-06-12T19:28:00.000+02:002012-06-12T19:28:55.258+02:00War of the Dead<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjO9EwZuuC7t3Nu7asZy0E0raIlUYimGiNd_Q0qkO8ZuDsE3mLcAiG39rDGKSov4eQULPussUsuV_BYYAEOSv39THHNL13tQYRc5AuGe9DZK8KZbKGiSDu5UNxLaXzfg80GfF1M3cdC-w9q/s1600/War+of+the+Dead.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjO9EwZuuC7t3Nu7asZy0E0raIlUYimGiNd_Q0qkO8ZuDsE3mLcAiG39rDGKSov4eQULPussUsuV_BYYAEOSv39THHNL13tQYRc5AuGe9DZK8KZbKGiSDu5UNxLaXzfg80GfF1M3cdC-w9q/s320/War+of+the+Dead.jpg" width="216" /></a></div>
<b>War of the Dead</b><br />
<b>USA/Lituania/Italia, 2011, colore, 86 min</b><br />
<b>Regia: Marko Mäkilaakso</b><br />
<b>Sceneggiatura: Barr B. Potter, Marko Mäkilaakso</b><br />
<b>Cast: Andrew Tiernan, Mikko Leppilampi, Samuel Vauramo, Jouko Ahola, Mark Wingett, Andreas Wilson, Magdalena Górska</b><br />
<br />
Credo fosse il 2007 quando sentii parlare per la prima volta di questo film che all'epoca si chiamava Stone's War. Riuscì a destare la mia curiosità, vuoi perché il filone nazi-zombie all'epoca non era così inflazionato, vuoi perché si vociferava che James Van Der Beek avrebbe interpretato il capitano Stone del titolo e volevo farmi quattro risate. Una produzione quantomeno travagliata trasformò il progetto stesso in uno zombie, non si riusciva a capire se fosse vivo o morto. Diversi titoli, cast e compagnie di produzione dopo, War of the Dead riesce stoicamente ad essere ultimato e distribuito in DVD. Van Der Beek purtroppo non c'è. In compenso è il film più costoso ad essere stato girato in Lituania (1 milione di euro). Trama (se di trama si può parlare): 1939, da qualche parte lungo il confine tra Finlandia e URSS si trova un bunker dove i nazisti conducono esperimenti genetici sui soldati russi catturati. 1941, da qualche parte lungo il medesimo confine, un'unità d'élite composta da soldati finlandesi e americani sforacchia e si mena con soldati russi, soldati russi zombie, soldati finnici zombie, soldati nazisti, soldati nazisti zombie. Punto. Tutti parlano inglese sempre e comunque. Lungi da me fare il puntiglioso, lo dico unicamente per motivi pratici. Magari se i finlandesi si fossero espressi nella loro lingua madre avrebbero recitato in maniera leggermente più decente. Nulla da fare per Andrew Tiernan (l'Efialte di 300), lui anche senza l'handicap della lingua è scarso comunque. Tra uno zombie e l'altro, i nostri eroi raggiungono il bunker nazista. Mediante una scatoletta esagonale con gingilli meccanici che si portano appresso dall'inizio, aprono una sorta di sarcofago e si svela il GRANDE MISTERO: tre secondi di inquadratura di un tavolo con cinghie. Ecco da dove vengono quelle cose, dice Stone. Ma vaffanculo, dico io. Manco lo sforzo di inventarsi una boiata qualsiasi.<br />Riporto la continuazione del dialogo:<br />“Cosa stavano facendo?” chiede Stone.<br />“Non lo so ma questo spiega quelle cose.” risponde il tenente Laakso che è un campione di logica deduttiva.<br />“Quest'affare le ha riportate in vita.”<br />“Tu credi?”<br />“Il diavolo ha molti travestimenti.”<br />“I soldati delle SS...” farfuglia Laasko guardando un punto imprecisato tra le sue scarpe, forse in risposta all'affermazione di prima.<br />“Forza, controlliamo la stanza.” <br />Discorso definitivamente chiuso, mistero svelato e via ad ammazzare altri zombie.<br /><br />Vediamo cos'altro offre War of the Dead.<br /><b>Zombie</b>: veloci e prestanti. Amano formare gruppi di tre aspettando una granata che puntuale arriva.<br /><b>Battute tamarre</b>: non pervenute. Il film si prende parecchio sul serio.<br /><b>Carisma dei personaggi</b>: impalpabile. Stone al massimo è perentorio nella panza.<br /><b>Gentil sesso</b>: un'unica fugace presenza femminile in tutto il film, la graziosa Magdalena Górska, infilata a forza per il momento strappalacrime. <br /><b>Resa tecnica</b>: i primi minuti sono imbarazzanti. Ostinato rifiuto del campo/controcampo rimpiazzato dalla camera che i sposta a sinistra e a destra come nelle interviste in piazza che si vedono al Tg. La macchina da presa urla la sua presenza con riprese sghembe e oblique, senza un motivo ben preciso. Forse per accrescere la sensazione di pericolo, ma è una mia ipotesi che non trova riscontro. Poi qualcuno deve essere rinsavito e ci si attesta su livelli decenti.<br /><b>Violenza</b>: il sangue digitale più pixelloso che vedo da anni. Stone è piromane nell'anima.<br /><br />Concludendo, si può apprezzare la caparbietà con cui Mäkilaakso abbia portato avanti il progetto ma non riesco a trovare un singolo motivo per arrivare fino alla fine di questo film, escludendo il masochismo o l'insonnia. Una serie di scene d'azione collegate alla rinfusa, senza traccia di plot, umorismo e talento nella messa in scena. Solo zombie e tanta noia.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-81742989378686203602012-06-06T19:10:00.004+02:002012-06-06T23:05:39.140+02:00Virtuality - Recensione<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJ2dQXFxr9eVktVm3MrPIRSlh5L55iAxBlZ2YSno7SmLY72bP81K7U3Jo9zzDdjICtMMKaw0vPfrhmVoM7paIVo59PKB38cKtXasERGH3K104w-_DDwXUrfhJcSPVq6Tgljo4lfXVil3Z0/s1600/Virtuality+tv+2009.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 223px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJ2dQXFxr9eVktVm3MrPIRSlh5L55iAxBlZ2YSno7SmLY72bP81K7U3Jo9zzDdjICtMMKaw0vPfrhmVoM7paIVo59PKB38cKtXasERGH3K104w-_DDwXUrfhJcSPVq6Tgljo4lfXVil3Z0/s320/Virtuality+tv+2009.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5750974062423383938" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">Virtuality</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">USA/Canada, 2009, colore, 87 min</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Regia: Peter Berg</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Sceneggiatura: Michael Taylor, Ronald D. Moore</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Cast: Nikolaj Coster-Waldau, Kerry Bishé, Joy Bryant, Sienna Guillory, James D'Arcy, Clea DuVall, Ritchie Coster<br /><br /></span>Sono passati cinque mesi dall'inizio del viaggio decennale dell'astronave Phaeton e mancano pochi giorni al punto di non ritorno, quando verrà definitivamente presa la decisione se continuare o meno la missione alla volta del pianeta Epsilon Eridani. La Terra è vittima di stravolgimenti climatici, con la situazione in via di peggioramento. La missione della Pheaton si trasforma quindi da semplice missione esplorativa in una questione si sopravvivenza della specie. Per far fronte ai costi che la spedizione comporta, gli astronauti, che si prestano più o meno volontariamente, divengono protagonisti di un reality show seguito da miliardi di persone sulla Terra: la nave è tappezzata di telecamere, ci sono sponsor da esibire, il confessionale e altre amenità di questo genere. La prima mezz'ora appesantita dagli stereotipi del reality potrebbe risultare fuorviante; Virtuality è in grado di regalare numerosi colpi di scena a chi avrà la pazienza di aspettare. Per vincere la sfida psicologica di una missione a lungo termine sono invece presenti dei moduli virtuali programmabili a piacimento per ottenere una simulazione realistica delle proprie fantasie, e magari condividerle, o avere semplicemente un po' di privacy. C'è chi si reinventa stratega durante la guerra di secessione, chi spia sotto copertura. Però il paraplegico alpinista, dopo Strange Days, non è più ammissibile. Man mano che il momento della decisione si avvicina, i guasti tecnici diventano sempre più frequenti e gli astronauti sperimentano, nel migliore dei casi, la morte virtuale a causa di un misterioso personaggio, presenza clandestina nei loro mondi simulati. Forse si tratta di un'anomalia di programmazione, forse qualcuno a bordo ha hackerato i moduli. Le conseguenze a livello psicologico saranno imprevedibili.<br /><br />Se guardiamo il panorama odierno e a quali serie televisive di fantascienza è concesso avere a disposizione un'intera stagione, se non addirittura il rinnovo, per rendersi sempre più ridicole come se due puntate non fossero già sufficienti, il rimpianto per uno show mai nato come Virtuality è ancora maggiore. Avere come produttore un nome stranoto aiuta, essere Ronald D. Moore, che i fan del remake di Battlestar Galactica conoscono bene, a quanto pare no. La Fox da parte sua, ancor prima che il rating d'ascolto lo condannasse definitivamente, non è mai sembrata particolarmente interessata al progetto Virtuality, forse predilige cose più terra terra/Terra Nova. Venne indetta la solita raccolta di firme per convincere l'emittente a fare marcia indietro e ordinare nuovi episodi (poveri illusi) ma quando la dicitura di IMDb mutò da pilot a film per la TV si capì che non c'era nulla da fare. Ed è un peccato, perché il mix di viaggio spaziale, spunti cyberpunk, complotti e atmosfera paranoica, almeno sulla carta era potenzialmente devastante e con tutta questa carne al fuoco era più che lecito sperare in una stagione senza punti morti, magari limando qualche aspetto che a molti è risultato decisamente indigesto. In particolare sono state le concessioni allo stile reality show e l'odiatissimo confessionale a destare le maggiori critiche. Per quanto mi riguarda capisco solo parzialmente tutto questo accanimento, infatti l'utilizzo delle telecamere posizionate dentro e all'esterno della nave nella stragrande maggioranza dei casi si limita a fare da raccordo tra una scena e l'altra. Discorso diverso per le parti relative al confessionale, presenza fastidiosa e fin troppo invasiva almeno nella prima parte di questo lungo episodio pilota da un'ora e mezza. Ma il vero problema è l'utilizzo che se ne fa, il limitarsi alla superficie prediligendo lo sfogo emotivo ad un reale approfondimento psicologico. Una maggiore attenzione in fase di scrittura non avrebbe guastato. Attenzione che non manca quando il ricorso ai mondi virtuali è finalizzato ad indagare le interazioni tra tecnologia e cervello umano, tra la realtà e la sua percezione. Ciò che percepiamo come reale attraverso un medium che interfacciandosi col cervello dà luogo ad un'attività sensoriale, può essere considerato reale a tutti gli effetti? Se attraverso questo processo percettivo, un flusso di stimoli può entrare nel campo della nostra coscienza e produrre sensazioni intense, allora chi è vittima di uno stupro nel mondo virtuale risentirà degli effetti emotivi e psicologici per il resto della sua vita? Dopo il fattaccio, sminuito dal maschilismo di bordo, le donne dell'equipaggio non staranno a guardare. Non sapremo mai come andrà a finire questa sorta di rape&revenge virtuale né perché la personalità di un astronauta morto continui a scorrazzare liberamente per la simulazione. Sì, la sorte di Virtuality è stata decisamente immeritata. <br style="font-weight: bold;">Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-60082062445423415542012-05-28T19:09:00.003+02:002012-05-28T19:24:07.447+02:00Sector 7<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6P03tbHoi9QBx8sozBFZUbllZdL1RcV7eY9yIC1AZzpOhGPWest_vN0UwD_TEg3i4dVdjN0kUD_9RnRQUsPY4Z4D8qCRi2JTIH9UsBOp5R9fmqr06sErDzs6z9bhNCKrYBlX50wehs7sz/s1600/Sector+7+Poster.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 217px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6P03tbHoi9QBx8sozBFZUbllZdL1RcV7eY9yIC1AZzpOhGPWest_vN0UwD_TEg3i4dVdjN0kUD_9RnRQUsPY4Z4D8qCRi2JTIH9UsBOp5R9fmqr06sErDzs6z9bhNCKrYBlX50wehs7sz/s320/Sector+7+Poster.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5747633140018002930" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">7 gwanggu</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Corea del Sud, 2011, colore, 118 min</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Regia: Ji-hun Kim</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Sceneggiatura: Je-gyun Yun</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Cast: Ji-won Ha, Sung-kee Ahn, Ji-ho Oh, Ae-ryeon Cha, Han-wi Lee</span><br /><br />Se sommiamo le parole monster movie e Corea del Sud, il risultato, inevitabile, sarà The Host (Gwoemul). Il bel film di Joon-ho Bong, risalente ormai al 2006, è capace di amalgamare perfettamente non solo generi ma anche registri diversi: si passa dall'allegria al dramma in pochi attimi, si riflette sui legami familiari, ci si emoziona. Nessuno si sarebbe aspettato qualcosa del genere da un film con mostro mutato emerso dal fiume Han. Sector 7 non è The Host, è un b-movie d'azione di quelli beceri e al massimo ci si può interrogare su quale scena sia più demenziale o quale blockbuster hollywoodiano stiano plagiando in quel determinato momento.<br /><br />Premetto che i sottotitoli in inglese impressi sul video della mia versione seguono regole note solo ai traduttori automatici. Per quel poco che c'è da capire bastano e avanzano.<br />Hae-jun (Ji-won Ha) è una ragazza che ha deciso di seguire le orme padre, morto in circostanze poco chiare, lavorando su una piattaforma petrolifera con laboratorio di ricerca annesso. La vita le piace così, in mezzo al grasso, al petrolio e alle trivelle. Freudiano o meno, condivisibile o meno, mi pare comunque più dignitoso che lucidare pali da lap dance in note ville sotto lo sguardo di statuette di Priapo. Negli intervalli tra una trivellazione e l'altra, la noia regna sovrana e la nostra Hae si lancia in trashissime corse in moto (noto passatempo su qualsiasi piattaforma petrolifera che si rispetti) insieme al suo innamorato Dong-soo (Ji-ho Oh). Magnifico vederla sterzare a cavallo di una moto immobile mentre lo schermo alle sue spalle proietta un rettilineo.<br />Dell'equipaggio di macchiette blateranti fa parte anche un ritardato pervertito, la cui collocazione professionale non ci è dato sapere. Semplicemente va bighellonando per la base e ogni tanto funge da punchball umano per combattere lo stress lavorativo di tutti i giorni. Comunque non importa. Quel che importa è che verrà subito etichettato come colpevole quando il mostraccio di turno verrà risvegliato e comincerà a mietere vittime. Giusto per allungare il brodo, come se il film non fosse già abbastanza lungo e snervante di suo. Intanto lo zio di Hae (Sung-kee Ahn), un pezzo grosso della compagnia petrolifera universalmente riconosciuto come il figo della situazione nel suo giubbetto Weyland-Yutani farlocco, atterra sulla piattaforma e pare saperla lunga. Finalmente il mostro si palesa e comincia ad accoppare tutti. È identico a quello di The Host con l'aggiunta di una lunga lingua e tentacoli stile hentai che secernono un liquido che tutti pensano sia sperma ed invece è un liquido infiammabile, il carburante del futuro. Che cosa starà mai combinando la compagnia? In laboratorio segue chiarimento zio-nipote su sorte del fratello-padre. Il linguacciuto mostro afferra linguescamente lo zio e lo fa roteare come una trottola. Lui da vero figo qual è, mentre gira vorticosamente afferra al volo una bottiglia di acido solforico posta tra decine di altre bottiglie e la scaglia sulla creatura. Poi esce di scena per riapparire random in altre occasioni armato di lanciafiamme. E non pensate che si finita qui, siamo appena a metà film. Esaurita la comicità involontaria resta solo il lungo calvario per l'eliminazione del mostro. Siete avvertiti.<br />Per essere il primo film coreano in 3D è un ottimo inizio, non c'è che dire.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-54556000529439573252012-05-24T20:11:00.009+02:002012-05-24T20:47:43.508+02:00The Divide - Recensione<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjs-YDA2SMvh3JOI-TqDdp4eaHNGDfzGk6y251ZKKRk6GfchrvA-sG8xrSeBAWQ8DJ4rLQKwxSebTKlcaenbXeBZnHheRlrYNvm3RVed2Y08RX57_BTiQnRo7JhFabnGC2Tk6m-fC-3ANTc/s1600/The+Divide+Poster.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 216px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjs-YDA2SMvh3JOI-TqDdp4eaHNGDfzGk6y251ZKKRk6GfchrvA-sG8xrSeBAWQ8DJ4rLQKwxSebTKlcaenbXeBZnHheRlrYNvm3RVed2Y08RX57_BTiQnRo7JhFabnGC2Tk6m-fC-3ANTc/s320/The+Divide+Poster.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5746165195644600738" border="0" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIlS_RK12J2_bGKSk8inOgKDWTxnVGc0MpjOaGhl2WAC3aFa6ygw1UTDI4dIkRfTXlWvP57yVdppntZQsEw34SFOPSREZxK6rtJ1DVByUcTlD_VbiC1unwbVjicpGJd35FUFY9lmYcOsBi/s1600/The+Divide+Poster+%25282%2529.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 135px; height: 200px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIlS_RK12J2_bGKSk8inOgKDWTxnVGc0MpjOaGhl2WAC3aFa6ygw1UTDI4dIkRfTXlWvP57yVdppntZQsEw34SFOPSREZxK6rtJ1DVByUcTlD_VbiC1unwbVjicpGJd35FUFY9lmYcOsBi/s200/The+Divide+Poster+%25282%2529.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5746167608960411730" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">The Divide</span><br /><span style="font-weight: bold;">Germania/USA/Canada, 2011, 112 min, colore</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Regia: Xavier Gens</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Sceneggiatura: Karl Mueller, Eron Sheean</span><br style="font-weight: bold;"><span style="font-weight: bold;">Cast: Lauren German, Milo Ventimiglia, Michael Biehn, Michael Eklund, Rosanna Arquette, Courtney B. Vance, Ashton Holmes, Iván González</span><br /><br />New York, l'apocalisse nucleare si scatena riflessa negli occhi colmi di lacrime di Eva (Lauren German). Mentre fioccano le bombe e la città si trasforma in un'indistinta massa fiammeggiante, Eva ed altre otto persone riescono a trovare scampo nel seminterrato del palazzo dove vivono, trasformato in rifugio antiatomico dal paranoico e bigotto custode Mickey (Michael Biehn). Quest'ultimo, accettata di malavoglia l'intrusione nel suo dominio privato, assume immediatamente il controllo della situazione e ordina che la porta d'ingresso rimanga chiusa fino a quando non deciderà che ci siano i presupposti per uscire. Il gruppo dei sopravvissuti comprende inoltre il balordo numero uno Josh (Milo Ventimiglia), il balordo numero due Bobby (Michael Eklund) legato al primo da un rapporto di sudditanza psicologica e omosessualità non troppo latente, Sam (Iván González) che è la quintessenza della passività e dell'insicurezza, la nevrotica Marilyn (Patricia Arquette) con figlia a carico e gli inutili Delvin ed Adrien, fratello di Josh.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKpDfrtablzDUY00fXu-fraYbqVD4gxTkK1E01nDw7GqX3cDxXd2ztuzmbLqJQ1LZ9ZZoKvHCuTyvSw14ARR_6-OX0osrIkfLmvoDj9mVfja2hA3XByxnsudDYjAF4enl6k-11vkZ_Mz5n/s1600/The+Divide+02.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 170px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKpDfrtablzDUY00fXu-fraYbqVD4gxTkK1E01nDw7GqX3cDxXd2ztuzmbLqJQ1LZ9ZZoKvHCuTyvSw14ARR_6-OX0osrIkfLmvoDj9mVfja2hA3XByxnsudDYjAF4enl6k-11vkZ_Mz5n/s400/The+Divide+02.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5746172392527261746" border="0" /></a>Mentre le scorte di viveri si assottigliano e la sfiducia cresce tra personaggi che non hanno nulla in comune tra loro, fa capolino un subplot puramente fantascientifico che non verrà sviluppato. Misteriosi uomini in tuta antiradiazioni fanno irruzione ad armi spianate e rapiscono la bambina, sigillando definitivamente i superstiti all'interno dello squallido e spoglio seminterrato, senza alcuna possibilità d'uscita. La speranza non abita più qui, una condizione metaforicamente trasposta nella fotografia del bunker (Gens come di consueto si affida a Laurent Barès, con cui aveva già collaborato in Frontier(s) e nell'orribile adattamento del videogame Hitman) che non concede il conforto di alcun colore.<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijeuomp_Q3mXbX1Ptu-LlLmnEynj73Ums2gcifkCSfmbKohQEiPWvGZVAP_e0xBWcYhZCwJU0tTajyHG7xAEL7I4gKam3FH_TmrkXhNPntnFP22jlLY1weBUHowfhH25tK-EYCDqhTnB5K/s1600/The+Divide+04.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 169px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijeuomp_Q3mXbX1Ptu-LlLmnEynj73Ums2gcifkCSfmbKohQEiPWvGZVAP_e0xBWcYhZCwJU0tTajyHG7xAEL7I4gKam3FH_TmrkXhNPntnFP22jlLY1weBUHowfhH25tK-EYCDqhTnB5K/s400/The+Divide+04.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5746172054833371458" border="0" /></a> Ed è quando i corpi cominciano a mostrare i primi sintomi di avvelenamento da radiazioni e la psiche vacilla che The Divide scade, lasciandosi andare ad una violenza autocompiaciuta che non si sa bene dove voglia andare a parare. Tra teste rasate, dita mozzate e stupri di gruppo si procede una brutalità dopo l'altra, al punto che l'unica cosa che ci si chiede è quanto lontano potranno spingersi i personaggi e quali depravazioni, soprattutto sessuali, potranno mai arrivare. Che ci si interroghi sugli angoli più oscuri della mente umana che aspettano solo determinate circostanze per venire alla luce? Affidare la fin troppo repentina regressione allo stato animale a personaggi come Josh e Bobby è scelta piuttosto ridicola: da gente egoista e violenta già nel mondo pre-apocalittico non ci si aspetta certo che cerchi di razionalizzare o cominci a snocciolare sermoni new-age e assuma la posizione del loto. Nonostante questo non si può non sottolineare la performance di Michael Eklund, una spanna sopra gli altri per intensità e creatività. A Michael Biehn tocca invece la parte della macchietta fascistoide probabile veterano di guerra con annesso sigaro d'ordinanza. Però quando imbraccia un fucile avveniristico ha guizzi del marine coloniale dei tempi che furono che definirei commoventi.<br />Spero che in futuro l'innegabile talento visivo di Gens -basti guardare l'adrenalinico incipit e un angoscioso finale dove la “bellezza” dell'apocalisse è ai massimi livelli- trovi altri mondi da esplorare.<br /><br />Una curiosità: il cast quasi al completo dovrebbe tornare a lavorare insieme in The Farm, diretto dallo stesso Xavier Gens. Sempre che il progetto vada in porto.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-11761305461255778642012-04-13T17:33:00.004+02:002012-05-24T20:49:19.947+02:00A volte ritornano...Ed eccomi di ritorno. Dopo un lungo silenzio dovuto a molto, molto lavoro e un nuovo blog finto esistenzialista che almeno mi sta dando qualche soddisfazione economica nonostante lo odii profondamente insieme a tutti gli adolescenti, o almeno spero per loro che lo siano, decerebrati che lo frequentano, è ora di tornare nei tranquilli e, ahimè, trascurati lidi di Freezone. Naturalmente non chiuderò l'altro blog perchè sono un venale bastardo (ci tengo a precisare che era nato con le migliori intenzioni comunque) ma nemmeno lascerò Freezone al suo destino come uno Schettino qualsiasi. Sempre nella speranza che questa spinta propositiva non faccia la stessa fine dei buoni propositi di inizio anno. Beh, chi vivrà vedrà. Ne approfitto per chiedere scusa ai quattro gatti che hanno chiesto mie notizie per mail ricevendo in risposta solo il più assoluto silenzio interepretato come menefreghismo. Non ve la prendete a male, trascurato il blog, trascurata la mail che fa capo al blog. Semplice.<br />Il tempo è tiranno quindi vi lascio con il meglio e il peggio di questi giorni di quiete. A presto!<br /><br /><br /><a href="http://www.imdb.it/title/tt1922551/">ARIRANG</a><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicfKG3Z8rzEdJ2jL1meSgVAOMyR77o6UocudELU3C3L1kKhPOGGTN1qXqtOTxXOymv8rlSC0l6YGcga-5SBHoBHaVpD8z9kySvgeQCj4ngACl6uVDqMKOFb5awtM1tVS1gmueJyU90F2x8/s1600/Arirang.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 140px; height: 200px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicfKG3Z8rzEdJ2jL1meSgVAOMyR77o6UocudELU3C3L1kKhPOGGTN1qXqtOTxXOymv8rlSC0l6YGcga-5SBHoBHaVpD8z9kySvgeQCj4ngACl6uVDqMKOFb5awtM1tVS1gmueJyU90F2x8/s200/Arirang.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5730911416867543298" border="0" /></a>Qualche settimana fa l'amico Ralph con tono giustamente accalorato mi parla di questo documentario di uno dei nostri registi di culto, quello sciroccato di Kim Ki-duk, il prezzemolino festivaliero per eccellenza, e immediatamente me ne passa una copia. Ricordo ancora quando anni fa, ben prima del successo di Ferro 3, grazie a quell'altro matto asincrono di Ghezzi scoprimmo quest'uomo vedendo L'isola. Forse furono i personaggi quasi muti impregnati di violenza, forse la nebbiosa ambientazione lacustre che rende indimenticabili le scene oniriche, forse il fatto che eravamo fusi come delle pigne, fatto sta che fu amore a prima vista. E la pesca assunse un nuovo significato. Le proiezioni del Lumiere ci aiutarono a colmare le nostre lacune e archi, mazze da golf e lastroni di vetro infilati nella pancia divennero un immancabile appuntamento annuale fino alla sua completa sparizione nel 2008. Che fine ha fatto questo regista così prolifico e, almeno per il sottoscritto, mai dimenticato? Arirang è la risposta. Pare che sul set di Dream, durante la scena di suicidio, l'attrice protagonista stesse per rimetterci davvero le penne e il nostro, profondamente sconvolto, si sia ritirato in montagna a vivere da eremita. Siccome è innegabile che furbetto lo sia sempre stato, tenne un videodiario di questa esperienza e, conoscendolo, c'è da scommetterci che già si prefigurasse una partecipazione festivaliera, puntualmente avvenuta con tanto di premio. Se il personaggio piace, ci si passa tranquillamente sopra, in caso contrario Arirang non lo si vedrebbe nemmeno. Promosso.<br /><br /><a href="http://www.imdb.it/title/tt1093357/">L'ORA NERA</a><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiuaVmEwNRkIgcqRNEuc3MfSSJFMGikzIEkzT5xqVGUyOl8trDdyBQpx9dXWcp7l1Ee6uPXLPVtKcfbdCL-gvjZWT6siMTb0JpTKMY3mHrlKOTc3vkMNL6nREu9sLheVNOY9bwvmPIALP3/s1600/L%2527ora+nera.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 139px; height: 200px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiuaVmEwNRkIgcqRNEuc3MfSSJFMGikzIEkzT5xqVGUyOl8trDdyBQpx9dXWcp7l1Ee6uPXLPVtKcfbdCL-gvjZWT6siMTb0JpTKMY3mHrlKOTc3vkMNL6nREu9sLheVNOY9bwvmPIALP3/s200/L%2527ora+nera.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5730911420333360290" border="0" /></a>C'era davvero bisogno di questa coproduzione russo-americana che della poetica fantascienza russa non ha nulla e di Skyline ha fin troppo?<br />La presenza in cabina di regia di Chris Gorak, che quando scrive e dirige tira fuori dal cilindro un piccolo gioiello di paranoia da dopobomba come Right at Your Door, in questo caso non conta: questo è un blockbuster. Un blockbuster per giunta prodotto da Timur Bekmambetov, uno che non ha mai fatto un film nemmeno lontanamente decente. La trama è piuttosto semplice: quattro americani (due programmatori di software e due zoccole) scelgono il momento peggiore per visitare la Russia, ritrovandosi nel bel mezzo di un'invasione di alieni elettrici che si divertono a smaterializzare la popolazione. A fare da sfondo alla vicenda troviamo una Mosca da spot elettorale, ricca e fashion, che pare uscita da una puntata di Californication, insegne in cirillico permettendo. Purtroppo (o per fortuna) le scene con Vladimir Putin, rigorosamente a petto nudo, che scorrazza per la città in sella al suo cavallo e si fa beffe degli alieni a colpi di vodka Kremlin Award sono state tagliate all'ultimo momento. Forse verrano reinserite nella extended edition.Tirando le somme, L'ora nera scorre via, riciclando e scopiazzando, senza particolari sussulti, non raggiunge le vette di idiozia patriottica dei suoi omologhi interamente americani (tra cui spicca <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.it/2011/05/world-invasione-battle-los-angeles.html">World Invasion: Battle Los Angeles</a>) con i quali però perde il confronto dal punto di vista della spettacolarità. Certo ridurre problemi macroscopici, in questo caso la libertà d'espressione in Russia, a frecciatine da popcorn movie è prassi comune ma se lo potevano anche risparmiare.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-61840980282330256112011-11-29T11:41:00.004+01:002012-06-26T13:36:21.032+02:00Stay - Nel labirinto della mente<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhg2RNd-kZen305FwByfC4Vw7iqEy2tyvH5Al112OjInVihiBY2SNCN2U4-IDTEmwU9Cm_-GCfCRsh2pJr1ObJH6SN6zXLUp9iMhTw3P4pFhW3LGaD3PAfbnEONtuWikJ94Ge-vhuaE7jY0/s1600/Stay+-+Nel+labirinto+della+mente.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 224px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhg2RNd-kZen305FwByfC4Vw7iqEy2tyvH5Al112OjInVihiBY2SNCN2U4-IDTEmwU9Cm_-GCfCRsh2pJr1ObJH6SN6zXLUp9iMhTw3P4pFhW3LGaD3PAfbnEONtuWikJ94Ge-vhuaE7jY0/s320/Stay+-+Nel+labirinto+della+mente.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5680367431763389282" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">Stay</span><span style="font-weight: bold;"><br />USA, 2005, colore, 99 min</span><span style="font-weight: bold;"><br />Regia: Marc Forster</span><span style="font-weight: bold;"><br />Sceneggiatura: David Benioff</span><span style="font-weight: bold;"><br />Cast: Ryan Gosling, Ewan McGregor, Naomi Watts, Kate Burton, Bob Hoskins, Elizabeth Reaser, Janeane Garofalo</span><br /><br />Sam Foster (Ewan McGregor) è uno psichiatra che sostituisce una collega nella presa in carico di Henry (Ryan Gosling), giovane studente d’arte, che in teoria, come emerge dal loro primo incontro, ha dato fuoco alla propria auto. Ma dalla scena iniziale del film, con un'auto che si capovolge più volte e alla fine prende fuoco mentre sull'asfalto appare seduto un ragazzo che rialzatosi si incammina lungo l’autostrada mentre tutto attorno si accalcano le macchine, siamo portati a credere, per cercare un senso, un collegamento plausibile, che il ragazzo sia sopravvissuto all'incidente automobilistico in cui probabilmente hanno perso la vita altre persone (sull’auto si trovavano i genitori e la ragazza che avrebbe voluto sposare) e che traumatizzato, abbia "dimenticato" buona parte dell'evento colpevolizzandosi e credendosi responsabile solo di uno degli elementi dell'incidente, appunto il fuoco, che ha soppiantato nella sua mente gli altri aspetti della tragedia. Sam è sempre più coinvolto dagli incontri con Henry, che si svolgono in un breve arco di tempo, soprattutto da quando il ragazzo che si sente "posato" dal precedente terapeuta (e già qui alcuni elementi appaiono strani o comunque non corretti professionalmente: in psicoterapia non si abbandona mai un paziente di botto) gli comunica l'irremovibile intenzione di suicidarsi alla vigilia del suo ventunesimo compleanno, allo scoccare della mezzanotte del sabato successivo, tre giorni dopo.<br />Un tentato suicidio è già presente nella vita di Sam in quanto la sua ragazza aveva tentato in passato di togliersi la vita ed era stata salvata in extremis grazie al suo intervento (comunque qui c'è volutamente una mancanza di chiarezza, la ragazza potrebbe essere stata una sua paziente dopo il tentativo di suicidio dettato, in un momento di sconforto, dall'impossibilità di sopportare la vita, ma allora non si capisce come mai l'abbia salvata nel bagno della loro casa) e ciò condiziona le loro scelte di vita di coppia, infatti Sam non riesce a liberarsi dal pensiero intrusivo che la sua ragazza possa reiterare il gesto (potrebbe rivolgersi lui stesso ad un bravo psichiatra!). Inizia per Sam una corsa contro il tempo nel tentativo di conoscere le dinamiche che possano spingere il giovane a compiere tale gesto, contattando le persone che lo conoscono. Tutto è avvolto nel mistero e niente è come appare e ciò che sembra reale e tangibile è un'illusione e il reiterarsi degli incontri, alcuni con persone già morte, e delle situazioni fanno precipitare Sam in una dimensione non interpretabile razionalmente in cui il confine tra il reale e l’immaginario che sconfina nel delirio lucido è estremamente labile. Tutto si rivelerà inutile e il ragazzo si ucciderà.<br />Solo allora la realtà apparirà nella sua completezza e sarà possibile comprendere appieno certi passaggi. Nell'incidente il ragazzo è gravemente ferito, i genitori e la ragazza sono morti, e mentre la gente intorno si adopera per prestare i primi soccorsi (tra questi la psichiatra che lo ha abbandonato, in realtà una donna che è andata alla ricerca di aiuto) sperimenta una "visione panoramica della vita" ma non in senso retrospettivo bensì con creazione prospettica partendo dalla eventuale salvezza e creerà tante storie di vita con un loro passato e presente in cui tutte le persone incontrate, tutte le frasi apparentemente illogiche, sono in realtà quelle percepite prima di morire. Ma questa vita sarà priva di slancio vitale e il pessimismo, l'incapacità di superare la perdita e il ritenersi responsabile prenderanno il sopravvento e solo una morte predeterminata, fortemente voluta potrà "salvarlo" da una non esistenza. Bisognerà aspettare i titoli di coda per vedere scorrere l'intera esistenza di Henry, quella reale fatta di piccole e grandi cose, di positivi punti di riferimento, di progettualità e ci si rende conto che nessun'altra vita sarebbe stata possibile.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-80667288502397111312011-11-18T14:52:00.004+01:002011-11-18T15:11:58.531+01:00Rosa di Jesús Orellana<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKs6ZiRm9tPr5l8RM5cv0GxafjobnCCJVvHgfS673Rqkev9Hmz50THNDrQhDzcuaLU5G0W2gWGwOOudkRB81zitiZJWPCXK3dO1syAROzpGERmzGcJI-jCYXn7JY7LNgLfq2_HZjnFkP9f/s1600/Rosa+Poster.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 223px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKs6ZiRm9tPr5l8RM5cv0GxafjobnCCJVvHgfS673Rqkev9Hmz50THNDrQhDzcuaLU5G0W2gWGwOOudkRB81zitiZJWPCXK3dO1syAROzpGERmzGcJI-jCYXn7JY7LNgLfq2_HZjnFkP9f/s320/Rosa+Poster.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5676337501930371538" border="0" /></a>Complimenti a Jesús Orellana che da solo è riuscito a sfornare un corto visivamente accattivante con un’ambientazione post-apocalittica parecchio figherrima. E dico subito che a me non è piaciuto, al di là del mero aspetto visivo non mi ha emozionato per nulla. Questi combattimenti Matrix style mi hanno francamente fracassato gli zebedei, me cala la palpebra. E se l’intero corto ruota intorno a questo, per quanto mi riguarda non va oltre un tech demo fatto con Maya, e a nulla serve un finale che fa il verso a quello di <a href="http://www.youtube.com/watch?v=msIjWthwWwI">The Cathedral</a> in salsa ecologista. Per carità, nulla di male a scegliere la via più facile per ottenere visibilità, un sacco di gente sbava dietro a questa roba. Non io, comunque. Pare che Rosa verrà convertito in un lungometraggio con attori in carne e ossa, spero che venga posta maggiore attenzione all’aspetto narrativo e se son rose fioriranno (ok, questa me la potevo pure risparmiare).<br /><br /><iframe src="http://player.vimeo.com/video/31894179?byline=0&portrait=0&color=cc1620" webkitallowfullscreen="" allowfullscreen="" frameborder="0" height="340" width="560"></iframe>Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-81000515630338378402011-11-15T22:06:00.003+01:002011-11-15T22:12:07.419+01:00Retreat - Recensione<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1JDlW5MNkZ259EcAliNh9YRCEOy78Z1e4vJThqc_z_AQfv1SwKNn989XM0gyc_TJVZFxKKcynI3I2sQAyaTJ4R0i-jJQvOsuySALiSHzoaEnC8lhXBSQF2wP7UEQax-zQyDhR0btfc8Bb/s1600/Retreat+poster.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 217px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1JDlW5MNkZ259EcAliNh9YRCEOy78Z1e4vJThqc_z_AQfv1SwKNn989XM0gyc_TJVZFxKKcynI3I2sQAyaTJ4R0i-jJQvOsuySALiSHzoaEnC8lhXBSQF2wP7UEQax-zQyDhR0btfc8Bb/s320/Retreat+poster.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5675331992997764626" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">Retreat</span><span style="font-weight: bold;"><br />UK, 2011, colore, 90 min</span><span style="font-weight: bold;"><br />Regia: Carl Tibbetts</span><span style="font-weight: bold;"><br />Sceneggiatura: Carl Tibbetts, Janice hallett</span><span style="font-weight: bold;"><br />Cast: Cillian Murphy, Thandie Newton, Jamie Bell, Jimmy Yuill</span><br /><br />Martin (Cillian Murphy) e Kate (Thandie Newton), coppia sposata in crisi che ha vissuto di recente una tragedia personale, decide di rintanarsi su una remota isola a largo delle coste scozzesi. La speranza, più di lui che di lei, è che questo luogo associato a ricordi felici possa salvare un matrimonio che pare inevitabilmente compromesso. Lei, ancora sconvolta da una gravidanza accolta in maniera fredda dal marito e non andata a buon fine, gli rivolge a stento parola e riversa le sue frustrazioni in mail chilometriche. I tentativi di lui di stemperare la tensione si infrangono contro un muro di stronzaggine e la faccia antipatica di Thandie Newton. I continui problemi tecnici alla radio e al generatore del cottage e l’incapacità di Martin nel risolverli non aiutano la situazione. Proprio quando la tensione raggiunge il culmine, un individuo ferito vestito in abiti militari e in possesso di una pistola (Jamie Bell) collassa di fronte la loro porta. Afferma di chiamarsi Jack e che, mentre partecipava ad un’esercitazione militare in zona, il mondo è stato investito da una pandemia che sta mietendo migliaia di vittime e presto l’isola sarà invasa da gente disperata in fuga dal contagio, quindi per la sicurezza di tutti bisogna barricarsi nel cottage. Impossibilitati a comunicare con la terraferma, i due coniugi accolgono la notizia sospesi tra l’incredulo e l’atterrito mentre Jack non ci metterà molto ad autoproclamarsi padrone di casa a scapito del gracile Martin e della sua lamentosa consorte. Retreat si propone come scopo principale di insinuare nello spettatore lo stesso dubbio di cui sono partecipi i protagonisti: Jack sta dicendo la verità ed il mondo è sul serio sull’orlo del baratro o si trovano semplicemente di fronte ad un uomo affetto da turbe psichiche spinto a restare sull’isola da altre motivazioni? Come spesso avviene in questi casi e senza voler spoilerare nulla, la verità sta nel mezzo, per quanto assurde e poco chiarite siano la circostanze che portano la presenza di Jack sull’isola. Il dubbio, comunque, dura poco. Non c’è bisogno di essere spettatori smaliziati per notare che l’insistenza con cui vengono proposte situazioni di presunto assedio senza che si veda mai anima viva rappresenti un clamoroso autogol. E una volta capito che si tratta di tutto fumo e niente arrosto, anche quel minimo di tensione si era venuta a creare va a farsi benedire. Non resta che godersi la buona prova del ristretto cast, con qualche riserva sulla legnosa Newton. Bravo Jamie Bell, ambiguo e minaccioso al punto giusto, che se si fosse lasciato andare alla caricatura dello psicopatico avrebbe definitivamente affossato il film. Il piccolo Billy Elliott ne ha fatta di strada. Cillian Murphy va bene se preso singolarmente nella sua mezza metamorfosi stile <span style="font-style: italic;">Cane di paglia</span> ma sullo schermo l’alchimia con la Newton è zero, continuano a sembrare due estranei anche quando la situazione degenera in un vero e proprio sequestro favorendone il riavvicinamento. Tirando le somme, il primo lungometraggio di Carl Tibbetts è senza mordente, senza sussulti, nonostante un cast per 2/3 efficace. Con un pizzico di sadismo ho scelto il poster UK, di rara bruttezza, che sembra quello di qualche horror post-apocalittico di serie Z.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-13546916521950646072011-11-09T14:55:00.003+01:002011-11-09T16:28:28.302+01:00I tre moschettieri - Recensione<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4Z3_hJJbSe6l7RDOKNkCaINRNpfSIfb5uS7pWxmpyhWtqs4OmnTZqeLCpKiY5TJS9B0X9l2TgldH4Yzi8Yq9AZrs4e7uPjv-ddGdnfrXtPIPvflHZ3RO8CyjxYaTAxYIjSIW4fBlj4Jvz/s1600/I+tre+moschettieri.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 224px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4Z3_hJJbSe6l7RDOKNkCaINRNpfSIfb5uS7pWxmpyhWtqs4OmnTZqeLCpKiY5TJS9B0X9l2TgldH4Yzi8Yq9AZrs4e7uPjv-ddGdnfrXtPIPvflHZ3RO8CyjxYaTAxYIjSIW4fBlj4Jvz/s320/I+tre+moschettieri.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5672994695621091330" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">The Three Musketeers</span><span style="font-weight: bold;"><br />Germania/USA/UK, 2011, colore, 110 min</span><span style="font-weight: bold;"><br />Regia: Paul W.S. Anderson</span><span style="font-weight: bold;"><br />Sceneggiatura:Alex Litvak, Andrew Davies</span><span style="font-weight: bold;"><br />Cast: Milla Jovovich, Orlando Bloom, Logan Lerman, Matthew MacFadyen, Christoph Waltz, Ray Stevenson, Mads Mikkelsen, Juno Temple, Luke Evans<br /><br /></span>Non sono un detrattore a prescindere di Paul W.S. Anderson, uno di quelli che aspetta l’uscita di ogni suo film giusto per piazzargli un bersaglio tra le chiappe e sparare con l’artiglieria pesante giusto per rimanere in allenamento fino alla prossima “fatica” di Uwe Boll. È chiaro che l’unica cosa che sappia fare è attingere da universi consolidati (Aliens vs Predator, Resident Evil), dotarli di una discreta confezione e in una duplice operazione occhieggiare ai fan e renderli accessibili a chi non ha conoscenza del materiale di base, fumetto o videogame che sia. Nella maggior parte dei casi il risultato è comunque piuttosto triste ma raramente riesce a sfornare qualcosa di guardabile o, nel caso di Death Race, addirittura godibile. Della cinematografia di Anderson salvo giusto il primo Resident Evil, che pur non avendo nulla a che fare con il videogame della Capcom si lasciava guardare, i momenti demoniaci e gore di Punto di non ritorno e il sorprendente Death Race dalla regia incredibilmente solida ma penalizzato da quella faccia da pirla di Jason Statham che non possiede un minimo del carisma di Vin Diesel, per tacere degli action hero dei tempi d’oro. Animato dalla malsana curiosità di vedere in che modo sarebbe stato violentato il romanzo di Alexandre Dumas padre e complice una strampalata promozione in cui mi hanno praticamente regalato il biglietto, mi lancio nella visione di questi tre moschettieri in chiave postmoderna. Dei sessanta e passa adattamenti de I tre moschettieri quello che presenta la maggiore somiglianza in termini di bruttezza con il film di Anderson è D’Artagnan del 2001 firmato Peter Hyams, la versione imbastardita con il cinema di Hong Kong, nella quale i protagonisti più che gli attori erano gli stuntman chiamati a dar vita ad interminabili ed estenuanti duelli svolazzanti. L‘operazione di svecchiamento fu un disastro e D‘Artagnan & company non vennero più presi in considerazione. Poi venne lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie e Anderson, sempre pronto a sfruttare i trend del momento, si mise strane idee in testa… Il regista, con la scusa del 3D che ne trae beneficio, continua sulla pessima strada intrapresa con <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.com/2010/09/resident-evil-afterlife.html">Resident Evil Afterlife</a>, annichilendo la messa in scena in un trionfo di sfondi digitali e condendo il tutto con imbarazzanti siparietti comici (per chi non si sa), dialoghi peggiori di tutti i Resident Evil messi insieme, ralenti che non c’entrano un cazzo e trappole con raggi laser che c’entrano anche meno. Tanto per essere chiari, non basta spegnere il cervello per godersi questi moschettieri vagamente steampunk grazie ai progetti di navi volanti del sempreverde e supersfruttato Leonardo da Vinci, qui non siamo dalle parti dello stupidamente divertente. Magari stupidamente irritante. Quando D’Artagnan senior (Dexter Fletcher), posseduto da sceneggiatore dementi, rifila al figlio un’imprescindibile lezione di vita del tipo “Mettiti nei guai, fai errori, combatti, ama, vivi” si capisce che anche spegnendo il cervello, sarà dura. Risultato di cotanta perla di saggezza, in grado di rivaleggiare con il “vivo, amo, uccido e sono contento” dell’ultimo Conan, è che a junior gli sparano cinque minuti dopo. In questo contesto nulla possono i poveri Athos (Matthew Macfadyen), Porthos (Ray Stevenson) e Aramis (Luke Evans) ridotti a macchiette da videogame. Athos pur non nuotando passa per “un nuotatore provetto” e non si capisce come faccia a non annegare con tutta la ferraglia che porta addosso. Potrebbe essere un palombaro ante litteram non fosse per il trascurabile problema di riuscire a respirare sott’acqua. Il prete mancato Aramis tra luna piena e gargolle d’ordinanza si lancia dai tetti manco fosse la vampiressa Kate Beckinsale in Underworld e Porthos non lo si può tenere incatenato che ti fa crollare la prigione e non diventa nemmeno verde. Discorso a parte merita D’Artagnan che è sempre stato insopportabile ed era lecito aspettarsi che venisse interpretato dall’ennesimo ragazzetto con la faccia da schiaffi. Stavolta tocca a Logan Lerman, già visto ne Il patriota dove era uno dei figli di Mel Gibson e in <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.com/2009/12/gamer.html">Gamer</a>, che per contratto deve avere il ciuffo alla Zac Efron in qualsiasi epoca sia ambientato il film. Non vedo l’ora di vedere cosa ci riserverà il tristemente certo sequel. Ma anche no.<span style="font-weight: bold;"><br /><br /></span>Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com9tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-8133464944221933072011-10-13T17:00:00.003+02:002012-06-26T13:37:49.146+02:00Paths of HateEra da tempo che non mi capitava di galvanizzarmi così tanto per un corto. Lo studio di post produzione polacco <a href="http://freezone-sci-fi.blogspot.com/2010/05/valanga-di-immagini-per-hardkor-44.html">Platige Image</a> si dimostra ancora una volta un’incredibile fucina di talenti e stavolta tocca a Damian Nenow guadagnarsi la meritata visibilità. Il combattimento aereo mozzafiato al centro del corto e l’inappuntabile realizzazione tecnica non devono trarre in inganno, non siamo dalle parti del mero esercizio di stile. Paths of Hate un’anima ce l’ha eccome.<br />Godetevelo nella sua interezza prima che lo facciano rimuovere pure a me!<br /><br /><a href="http://img222.imagevenue.com/img.php?image=516953398_PathsofHate_122_1176lo.jpg" target="_blank"><img src="http://www.blogger.com/post-edit.g?blogID=3602841991118666175&postID=813346494422193307&from=pencil" com="" img="" gifsrc="http://img222.imagevenue.com/loc1176/th_516953398_PathsofHate_122_1176lo.jpg" border="0" /></a><a href="http://img109.imagevenue.com/img.php?image=516955878_PathsofHate00_122_218lo.jpg" target="_blank"><img src="http://img109.imagevenue.com/loc218/th_516955878_PathsofHate00_122_218lo.jpg" border="0" /></a><a href="http://img286.imagevenue.com/img.php?image=516958535_PathsofHate01_122_65lo.jpg" target="_blank"><img src="http://img286.imagevenue.com/loc65/th_516958535_PathsofHate01_122_65lo.jpg" border="0" /></a><br /><a href="http://img293.imagevenue.com/img.php?image=516960279_PathsofHate02_122_238lo.jpg" target="_blank"><img src="http://img293.imagevenue.com/loc238/th_516960279_PathsofHate02_122_238lo.jpg" border="0" /></a><br /><br /><br /><iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='560' height='340' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dySTPJhHJZheTQNMO6K2JvRc7K19Fxiw_BOX8V8HQANHOFjaH0Uj8m6EeJQpr-R3Khul4C1mZ-YTatgpIlz1A' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe>Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com9tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-6703565051515605052011-10-07T15:28:00.005+02:002012-06-26T13:38:16.575+02:00New Rose Hotel<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPZ7mTX8Q9PgjnS6ssy-i8pt14TKlyCa8AYF6jD9h6ZFO_KuYIsb6_fZ1mPsde3gumsnIeKBU7gDhb71oeYorbBlHyTAMRAF65YWnMOsQeZNsySc1SlKi2yW6F7ZYLGsLxHz4JD2WfHuzo/s1600/New+Rose+Hotel.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 219px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPZ7mTX8Q9PgjnS6ssy-i8pt14TKlyCa8AYF6jD9h6ZFO_KuYIsb6_fZ1mPsde3gumsnIeKBU7gDhb71oeYorbBlHyTAMRAF65YWnMOsQeZNsySc1SlKi2yW6F7ZYLGsLxHz4JD2WfHuzo/s320/New+Rose+Hotel.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5660741803770352946" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">New Rose Hotel</span><span style="font-weight: bold;"><br />USA, 1998, colore, 93 min</span><span style="font-weight: bold;"><br />Regia: Abel Ferrara</span><span style="font-weight: bold;"><br />Sceneggiatura: Abel Ferrara, Christ Zois</span><span style="font-weight: bold;"><br />Cast: Willem Dafoe, Asia Argento, Christopher Walken, Yoshitaka Amano, Annabella Sciorra, Gretchen Mol, John Lurie</span><br /><br />New Rose Hotel nasce dall’incontro di Abel Ferrara con il titolo del racconto di William Gibson. Sì, col titolo, visto che Gibson risulta non pervenuto. In compenso, gaudio e giubilo, c’è lei, Asia Argento. Non oso immaginare come recitasse in inglese ma quanto cotante attrici si doppiano da sole è musica per le orecchie. Ci penserà la Bellucci a privarla della palma di peggior autodoppiaggio di sempre, e non in una sola occasione. Almeno all’epoca la figlia di quel regista che ha fatto una pessima fine parlava un linguaggio semicomprensibile e non s’era trasformata in un biascicante clone del Bossi post-ictus. Il contesto di questo adattamento sospeso tra porno soft e irritazione è quello classico del Gibson prima maniera. Le corporazioni detengono il potere a livello mondiale sostituendosi di fatto ai governi e combattono tra loro una guerra spietata fatta di spionaggio industriale, contendendosi i servigi di illustri scienziati in grado di spostare gli equilibri di potenza con il proprio talento. Ogni mezzo è lecito, coercizione e rapimento sono la prassi. Fox (Christopher Walken) e X (Willem Dafoe) ricevono dalla multinazionale Hosaka l’incarico di sottrarre lo scienziato Hiroshi (l’illustratore e animatore giapponese Yoshitaka Amano) alla Maas Biolabs. Per raggiungere lo scopo i due ingaggiano Sandii (la già citata Argento), giovane squillo d’alto bordo adescata a Tokyo, affinché seduca Hiroshi e lo convinca a seguirlo abbandonando la famiglia e l‘azienda per cui lavora. X, con sommo piacere, si incarica dell’addestramento softcore della ragazza finendo per innamorarsi del tatuaggio sempre in primo piano della Argento e mandando tutto a rotoli sotto lo sguardo sempre più perplesso di Fox. Senza tradimento che noir sarebbe.<br />Ferrara, che sembra un lontano parente del regista dallo sguardo scorsesiano di Fratelli o di quello allucinato de Il cattivo tenente, rigetta la struttura originale del racconto di Gibson, un ininterrotto flashback di X che braccato dai sicari della Maas Biolabs attende la fine nella bara di un capsule hotel, e si lancia in una soporifera investigazione dei meccanismi dell’immagine e della visione, affidandosi a soluzioni stilistiche estreme quanto indigeste. La narrazione di fatto si interrompe quando Sandii completa con successo l’incarico e solo con qualche accenno verbale si farà luce sul suo tradimento, sulla spietata ritorsione della Maas Biolabs e il tragico destino di quel fesso di Hiroshi. Da questo momento in poi Ferrara ripete e ricicla numerose scene della prima parte del film, a volte con minime variazioni. Non che prima andasse meglio, un’ora di inquadrature riprese da telecamere di sicurezza, orrendi split screen, immagini che scorrono su dispositivi mobili e altre amenità del genere. La vita è tutta un’illusione e New Rose Hotel è un film sperimentale? Se sperimentale è sinonimo di inguardabile, allora sì, New Rose Hotel è un film sperimentale. Non ci fossero stati due vecchi volponi come Willem Dafoe e un mefistofelico Christopher Walken a palleggiarsi battute con una buona dose di improvvisazione, la situazione sarebbe stata ancora più tragica. Certo se quegli haiku nonsense fossero usciti dalla bocca di un altro avrebbero scatenato irrefrenabili impulsi distruttivi ma a Christopher si perdona tutto. Non che il nostro non abbia mai partecipato a ciofeche colossali, solo che queste non avevano pretese da film d’autore. E in questo caso l’autore in questione sforna una boiata autoreferenziale dove lo stile prevarica sulla sostanza. Come se già non fosse bastato Johnny Mnemonic, ci pensa New Rose Hotel a ribadire la sfortuna che perseguita l’adattamento di qualsiasi cosa scritta da Gibson, che dal canto suo intasca l’assegno e pare non fregarsene più di tanto.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-57365150323704184272011-09-25T10:26:00.005+02:002011-09-26T20:14:29.237+02:00Peacock - Recensione<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0poDR-iqpUaUBHwainNE3Eq6Vuv4nyfjRJHbL6mky8-cDaURlGJeIEqmcYD3cj_9SifdN9gczrhrGREVQJJo2ZrJc8K6ZMVyS77GlXW8X3UapeU3pRssLz2nfIuBFaZTmWJk0bM_gMemN/s1600/Peacock+Poster.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 224px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0poDR-iqpUaUBHwainNE3Eq6Vuv4nyfjRJHbL6mky8-cDaURlGJeIEqmcYD3cj_9SifdN9gczrhrGREVQJJo2ZrJc8K6ZMVyS77GlXW8X3UapeU3pRssLz2nfIuBFaZTmWJk0bM_gMemN/s320/Peacock+Poster.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5656211114307332018" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">Peacock</span><span style="font-weight: bold;"><br />USA, 2009, colore, 90 min</span><span style="font-weight: bold;"><br />Regia: Michael Lander</span><span style="font-weight: bold;"><br />Sceneggiatura: Michael Lander, Ryan O Roy</span><span style="font-weight: bold;"><br />Cast: Cillian Murphy, Ellen Page, Susan Sarandon, Josh Lucas, Bill Pullman, Graham Beckel, Keith Carradine</span><br /><br />John Skillpa (Cillian Murphy) è un giovane uomo molto riservato. Dotato di calma apparente e controllo cerebrale, lavora diligentemente e silenziosamente nello scantinato della banca di Peacock, piccolo centro del Nebraska. Della sua vita da adulto, segnata dalla solitudine, con ipervigilanza ed evitamento fobico del contatto sociale, i concittadini sanno ben poco. Già dalle battute fuori campo della madre che aprono il film viene perfettamente delineata la tragica, devastante infanzia di bambino-oggetto alla mercé di una madre che lo alleva sul modello delle proprie fantasie malate, creando una piccola comunità duale da proteggere con il silenzio assoluto. John porta sulla pelle le conseguenze, per dirla con le parole di Alice Miller, di questa “pedagogia nera”. L’incapacità di affrontare autonomamente delle scelte pratiche è solo uno degli aspetti legati al trauma della sua infanzia. Ma soprattutto John presenta un disturbo di personalità multipla, una forma grave di scissione, conseguenza delle gravi violenze psicologiche e sessuali subite da una madre possessiva e autoritaria che le falsificava come atto d’amore. L’altra sua personalità è rappresentata da Emma, figura femminile “incontrata” esattamente lo stesso giorno della morte della madre come tentativo di costruire un modello suppletivo di sostegno e accudimento. Emma è la classica mogliettina anni 50 che provvede alle faccende domestiche rendendosi il più possibile invisibile all’esterno, con regole precise nella gestione della casa ma anche desiderosa di un figlio. Tutto procede indisturbato nella vita di John/Emma, finche fanno irruzione due elementi imprevisti: il deragliamento di un treno nel giardino di casa, che renderà visibile un’Emma fino ad allora sconosciuta al circondario, e la comparsa di Maggie, giovane madre single. Maggie (una non eccessivamente credibile Ellen Page) è una vecchia conoscenza della vita di John e, disperata, vi riappare per chiedere la continuazione dell’aiuto economico per il proprio bambino, del quale John è il padre pur avendone da sempre ignorato l’esistenza, che, legalmente riconosciuto, veniva sostenuto fino ad un anno prima dalla madre aguzzina. Tra Emma e Maggie si creerà un rapporto doloroso e sincero. La ragazza rivelerà di essere rimasta incinta dopo essere stata adescata in un bar dalla madre di John e assoldata per prestazione sessuali con partecipazione attiva e supervisione della stessa. Questi eventi determineranno un aggravamento dello squilibrio psichico, con le due personalità che agiranno in autonomia e spesso in contrapposizione. Da una lato troviamo Emma che intravede la possibilità di poter adottare il bambino per concretizzare il suo bisogno di maternità, dall’altro un John sconvolto per il riaffiorare dei terribili momenti della sua infanzia che tenterà di allontanare Maggie offrendole tutti i suoi risparmi. Sarà Emma a spuntarla, mettendo in pratica un piano articolato per l’eliminazione della parte maschile di sé. Ma proprio il ritrovarsi “madre” farà scattare la paura della possibile coazione a ripetere e, lasciando andare Maggie e il bambino, ripiomberà nella più totale solitudine.<br />Visione interessante e particolare questo Peacock, soprattutto per chi pretende un’attenzione psicologica minuziosa e corretta in ogni suo aspetto e non storce il naso di fronte ad un tono esageratamente melodrammatico. Grande prova di Cillian Murphy sia per quanto concerne Emma che soprattutto per un John tutto sorrisi di sottomissione appena accennati che cerca di accentuare il più possibile la mascolinità della sua voce. Si potrebbe obbiettare, nonostante un doveroso plauso all’ottimo lavoro svolto in fase di make-up, che la mancata individuazione di John in Emma da parte dei cittadini di Peacock non sia esattamente il massimo della credibilità ma, data la natura tendente all’invisibilità del personaggio, con qualche sforzo si può anche chiudere un occhio.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-89470567737327666182011-09-04T15:44:00.004+02:002011-10-17T12:30:33.684+02:00Dopo il matrimonio - Recensione<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUFy_bHC7A7-CmFyIF1gIpzeAWjeawV0LdU_Se_clqnl-MEiXbtY-hHAILQUlJmuGfi2uKJ2HmVDukod-5-PVtZj_EtRzdfAE1iSu5H4Z2nMu4sVg9YlFHx6uifOE2q07RsEMwy9O3TzTT/s1600/Dopo+il+matrimonio.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 223px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUFy_bHC7A7-CmFyIF1gIpzeAWjeawV0LdU_Se_clqnl-MEiXbtY-hHAILQUlJmuGfi2uKJ2HmVDukod-5-PVtZj_EtRzdfAE1iSu5H4Z2nMu4sVg9YlFHx6uifOE2q07RsEMwy9O3TzTT/s320/Dopo+il+matrimonio.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648500051483453202" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">Efter brylluppet</span><span style="font-weight: bold;"><br />Danimarca/Svezia/Uk, 2006, colore, 120 min</span><span style="font-weight: bold;"><br />Regia: Susanne Bier</span><span style="font-weight: bold;"><br />Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen</span><span style="font-weight: bold;"><br />Cast: Mads Mikkelsen, Rolf Lassgård, Stine Fischer Christensen, Sidse Babett Knudsen, Mona Malm, Neel Rønholt</span><br /><br />Jacob (Mads Mikkelsen) lavora in un orfanotrofio in India, quando giunge la notizia che un miliardario danese vuole “incontrarlo per stringergli la mano” prima di concedere il finanziamento necessario alla sopravvivenza della struttura. Jacob è fuggito dal suo passato ed ora è proprio il passato a ritornare casualmente. Ma sarà proprio vero? Pur contrariato dal dover affrontare, anche se per breve tempo, il suo vecchio mondo fatto di “ricchi e idioti”, in realtà reso ansioso dal riemergere di aspetti della sua vita che tornano prepotentemente a galla e dal lasciare un luogo in cui ha realizzato i suoi ideali e in cui si sente sicuro e appagato, decide di partire. Incontrerà Jørgen (Rolf Lassgård), ricco uomo d’affari, che si dimostrerà interessato al suo progetto ma che rimanderà un ulteriore approfondimento a dopo il matrimonio della figlia, al quale Jacob viene stranamente invitato. I due uomini sono estremamente diversi, sia caratterialmente che per scelte di vita. Jacob è idealista e sognatore, poco pratico, con un passato da spiantato, mentre Jørgen è un uomo di successo, concreto, che, tuttavia, dietro un’apparente serenità nasconde una profonda angoscia della morte (si scoprirà essere un malato terminale). I loro destini si sono incrociati non proprio casualmente. Jacob scoprirà che la neosposa è la propria figlia della quale non conosceva l’esistenza e la madre, nonché moglie di Jørgen, è la donna con la quale vent’anni prima aveva vissuto una relazione profonda ma distruttiva per entrambi, troppo diversi nell’affrontare la vita reale. Le intenzioni di Jørgen, conscio del poco tempo che gli resta, divengono presto chiare: concederà un finanziamento astronomico al progetto a patto che Jacob resti in Danimarca e si prenda cura della famiglia. Si è proiettati in un mondo di sentimenti che consente un approccio a varie tematiche sviscerate con la consueta perizia a cui ci ha abituato la scrittura di Anders Thomas Jensen: la fuga dal passato, l’importanza dell’affettività come motore della vita, l’idealismo come disperata ricerca di colmare un vuoto interiore, il desiderio di paternità e l’importanza di una paternità adottiva in grado di fornire sostegno affettivo e stabilità. La disamina dei sentimenti che animano la storia viene effettuata principalmente tramite i due protagonisti maschili, combattuti tra un passato che si è cercato di dimenticare (Jacob) e un presente che, ironia della sorte, appare tragico (Jørgen). Tutto ciò che era rimasto in sospeso, nascosto, ritorna; si riallacciano i fili delle esistenze e si completa l’incompiuto attraverso una reazione circolare che fa sì che ad una fine corrisponda un nuovo inizio, forse come atto di generosità, forse come desiderio ultimo di continuare in qualche modo ad esistere. Più marginali le figure femminili con un impatto sulla vicenda egualmente marginale. La sofferenza della candida figlia Anna (Stine Fischer Christensen) dopo essere stata cornificata a tempo di record influirà ma non sarà certo determinante nella scelta di Jacob. La rigida moglie Helene (Sidse Babett Knudsen), invece, vince la palma di personaggio più opportunista del film. Pur di continuare a sentirsi protetta dalla stabilità economica, mostra nei confronti della dipendenza alcolica del marito un’accondiscendenza benevola che non aveva attuato nella sua vita passata e che aveva posto fine, anche per la mancanza di sicurezza e di prospettive stabili, al suo rapporto con Jacob. Incarna, insomma, una scelta non proprio travagliata tra ideali e denaro.<br />Alla fine una domanda sorge spontanea e invita alla riflessione: è proprio vero che diventare adulti significa adeguarsi alla concretezza della realtà anche a spese di qualcosa a cui si tiene? La scelta di Jacob, seppur sofferta, è facilitata dalle circostanze. Può continuare a mantenere gli ideali “da lontano” e reinserirsi in un progetto di vita che presenta già tutte le caratteristiche di appagamento, come il ritrovare una figlia reale con la quale potrà compensare l’abbandono dei “figli adottivi”, e concedersi un più che probabile inizio, o continuazione, di una storia d’amore su basi più mature.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-77117806420882382602011-09-04T06:06:00.004+02:002012-06-26T13:39:30.048+02:00Sono il numero quattro<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmthla4GHyIgQCEHaXx9TdEptL8wMowyw1N5VHTaZtI0rsme_izxNY9wjKHm2SAYkDtJ8lWynXWUTC8OWI2rQef9ikboOqVqH0797GkV-RH_u373dRGCjNDiluD94h3MsNEePhw5S2keVy/s1600/numero+4.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 224px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmthla4GHyIgQCEHaXx9TdEptL8wMowyw1N5VHTaZtI0rsme_izxNY9wjKHm2SAYkDtJ8lWynXWUTC8OWI2rQef9ikboOqVqH0797GkV-RH_u373dRGCjNDiluD94h3MsNEePhw5S2keVy/s320/numero+4.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648351161930592498" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">I Am Number Four</span><span style="font-weight: bold;"><br />USA, 2011, colore, 109 min</span><span style="font-weight: bold;"><br />Regia: D.J. Caruso</span><span style="font-weight: bold;"><br />Sceneggiatura: Alfred Gough, Miles Millar, Marti Noxon </span><span style="font-weight: bold;"><br />Cast: Alex Pettyfer, Dianna Agron, Timothy Olyphant, Teresa Palmer, Callan McAuliffe, Kevin Durand, Jake Abel</span><br /><br />Avevo già citato senza troppa convinzione questo esemplare di fantascienza per teenager mesi fa, un tentativo, rivelatosi fallimentare, di donare alla fantascienza il suo Twilight. Il pubblico, nonostante la presenza del belloccio emergente Alex Pettyfer e della gnocca Dianna Agron, non sembra essersi particolarmente affezionato alle gesta del numero quattro e con molta probabilità i restanti numeri resteranno sulla carta dei romanzi della saga. Numero 4 è uno dei nove alieni che vengono fatti scappare dal pianeta natale Lorien prima che i perfidi Mogadorian, dei tamarri con le branchie, facciano secca l’intera popolazione. Non contenti di ciò, inseguono i fuggitivi pure sulla Terra per terminare il lavoro. Per un motivo non meglio precisato i 9 possono essere uccisi seguendo l’ordine numerico e 1,2 e 3 ci hanno già lasciato le penne, quindi se la matematica non è un’opinione… Ma come vedremo, per gli sceneggiatori e forse per chi ha scritto il libro la matematica è un’opinione. Numero 4, alias John Smith, è perennemente in fuga, accompagnato da un protettore pressoché inutile (Timothy Olyphant) e da una bestiaccia aliena sotto mentite spoglie. Dovrebbe mantenere un basso profilo ma proprio non ce la fa ad evitare di farsi immortalare mentre fa il figo sull’acquascooter o ad assecondare la mania fotografica di Dianna Agron (e mica scemo), una di quelle persone fastidiose che hanno trovato nell’obbiettivo un prolungamento del proprio essere e infischiandosene bellamente delle leggi sulla tutela della privacy fanno foto a tutto e tutti per poi pubblicarle su internet. Roba da ficcarle la macchina fotografica in gola. Nel frattempo 4 scopre che la Forza scorre potente in lui e può anche emettere fasci di luce dalle mani mentre fa salti di dieci metri. Giusto per non scontentare nessuno. Alla festicciola si aggiunge anche numero 6 (Teresa Palmer), la tipa cazzuta che i Mogadorian hanno già tentato di uccidere in barba all’ordine numerico. Sono il numero 4 stupisce fin dalla sequenza d’apertura (l’uccisione di numero 3) per la bruttezza degli effetti speciali, fatto decisamente insolito per una produzione targata Michael Bay, integrati talmente male da conferire un effetto comico. Poi le cose migliorano un po’ e si assestano su livelli che vanno dal sufficiente al mediocre. Stupisce anche come non si tenti nemmeno di abbozzare uno dei tradizionali cavalli di battaglia di queste produzioni vietate ai maggiori di sedici anni, il rapporto padre-figlio. Non che se ne senta la mancanza, comunque. In compenso i personaggi cambiano soventemente e inspiegabilmente atteggiamento a seconda di come girava agli sceneggiatori. Vogliamo parlare del capo della squadra di football nonché bulletto patentato? Prima mostra un’ossessione patologica alla stregua di uno stalker nei confronti della sua ex Dianna Agron, tormenta 4 e non contento cerca di farlo pestare dall’intera squadra di football; e nel finale cosa fa? Si trasforma in un agnellino e tutto tranquillo osserva i due piccioncini che gli si slinguazzano davanti. Mah…<br />Mi fermo qui, tanto la saga dovrebbe essere stata stroncata sul nascere.Count Zerohttp://www.blogger.com/profile/09299017176115939846noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3602841991118666175.post-86688179727175673632011-09-01T21:48:00.002+02:002011-09-01T21:51:31.856+02:00The Green Butchers - Recensione<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRTEmQcdxTwWl7mgaHGur5IR1uwgKN9T18pWtSXxpfv_t8Y8Nk3uDAJsYR4mbNRLoCZwabPhkZGJd4T0mKVAwwR0KUeIxkZPo6k6Xs-cEuXevN261X9h7YTC1C-f9Q70TjsEDQ8FWLhN-e/s1600/The+Green+Butchers.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 234px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRTEmQcdxTwWl7mgaHGur5IR1uwgKN9T18pWtSXxpfv_t8Y8Nk3uDAJsYR4mbNRLoCZwabPhkZGJd4T0mKVAwwR0KUeIxkZPo6k6Xs-cEuXevN261X9h7YTC1C-f9Q70TjsEDQ8FWLhN-e/s320/The+Green+Butchers.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5647480778459479794" border="0" /></a><span style="font-weight: bold;">De grønne slagtere</span><span style="font-weight: bold;">
<br />Danimarca, 2003, colore, 95 min</span><span style="font-weight: bold;">
<br />Regia: Anders Thomas Jensen</span><span style="font-weight: bold;">
<br />Sceneggiatura: Anders Thomas Jensen</span><span style="font-weight: bold;">
<br />Cast: Mads Mikkelsen, Nikolaj Lie Kaas, Line Kruse, Ole Thestrup, Aksel Erhardtsen, Nicolas Bro</span>
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<br />Affermare che Anders Thomas Jensen sia uno sceneggiatore prolifico sarebbe usare un eufemismo. Il suo zampino è presente in quanto di meglio abbia prodotto il cinema danese negli ultimi dieci anni, successi internazionali compresi. Rarefatta è invece l’attività registica che comprende solo tre lungometraggi accomunati da una vena grottesca velata di malinconia e dal cast ricorrente e sempre impeccabile.
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<br />Svend (Mads Mikkelsen) e Bjarne (Nikolaj Lie Kaas) sono colleghi e amici che lavorano nella macelleria del tirannico “Salsiccia“ Holger. Il loro è un bel rapporto d’amicizia che nasce dall’incontro di due solitudini. Svend, continuamente deriso e umiliato dal boss, decide finalmente di mettersi in proprio insieme all’amico affrontando un investimento economico che permette di far luce su alcuni aspetti della loro vita passata. Bjarne si reca infatti alla clinica in cui è ricoverato il fratello gemello ritardato, Eigil, da anni in coma irreversibile dopo un pauroso incidente da lui stesso provocato, in cui hanno perso la vita i genitori e la giovane moglie di Bjarne. Senza starci a pensare troppo, autorizza i medici a staccare la spina per entrare in possesso della parte di eredità del fratello e fornire il suo contributo economico a Svend. L’inizio dell’attività lavorativa è disastroso, finché un evento fortuito, l’accidentale chiusura da parte di Svend dell’elettricista nella cella frigorifera, determina un capovolgimento della situazione. Per liberarsi dello scomodo inquilino surgelato, Svend ha la malsana idea di farlo a fettine e spacciarlo per carne di pollo accompagnata da una marinata di sua invenzione. La pietanza riscuote inaspettatamente l’approvazione degli ignari avventori e ben presto la macelleria diviene un posto di successo con tanto di servizi al telegiornale. Da qui in poi la situazione precipita e, grazie all’abilità di scrittura di Anders Thomas Jensen, non potrebbe andare meglio di così. In un crescendo surreale avverrà l’eliminazione sistematica di tutti i personaggi che possano interferire con la realizzazione del sogno di Svend e come se non bastasse, Eigil, una volta staccato dal respiratore, ritorna inaspettatamente in vita e nella vita di Bjarne.
<br />Jensen è abilissimo nel tratteggiare due personaggi stanchi e disillusi, profondamente feriti e nel contempo totalmente fuori di testa. Bjarne è sempre stato posto in secondo piano dalla famiglia rispetto al fratello handicappato, verso il quale veniva indirizzata tutta l’attenzione con l’attuazione di un processo di negazione della disabilità che faceva sì che venisse assecondato in qualsiasi richiesta, compresa la guida di un’auto che porterà, con la complicità di un’animale, alla strage familiare. Non sorprende quindi che ami circondarsi di animali morti non solo sul posto di lavoro ma anche a casa attraverso un macabro hobby. Per il perfezionista ossessivo Svend, che in condizioni di stress è vittima di un’eccessiva sudorazione, l’infanzia è stata a dir poco problematica, segnata dalla perdita dei genitori e da atti di bullismo. In questo substrato psicologico si innesta la ricerca della fama a tutti i costi come unico elemento capace di supplire alla profonda solitudine e alla scarsa autostima. Talmente bassa che Svend non pensa neppure per un attimo che il successo della pietanza sia dovuto ad una sua creazione invece che ad un fatto a lui estraneo. E poco importa che la tiepida presa di coscienza delle proprie possibilità avvenga dopo che faccia fuori mezzo paesino assecondato dal quasi totale menefreghismo del suo compare. Anzi fa tenerezza quando come un bambino colto con le mani nel sacco si inventa le scuse più assurde per giustificare la presenza di un nuovo cadavere nella cella frigorifera. Se non si fosse capito, la verosimiglianza non abita da queste parti e l’improbabile happy ending non stona affatto in questo contesto di simpatici folli.
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