lunedì 12 aprile 2010

William Gibson e il cinema

Riusciremo mai a vedere sugli schermi una trasposizione decente di un libro di William Gibson? La sparute notizie che si susseguono da un paio d’anni riguardo la realizzazione di Neuromante (Neuromancer, 1984) non lasciano ben sperare. La cabina di regia pare sia stata affidata a tale Joseph Kahn causando gli incubi agli appassionati. Nel suo folgorante romanzo d‘esordio, Gibson dimostrò la capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società dell’epoca, riuscendo a creare un futuro credibile ricavato dalle situazioni sociali degli anni 80. Ora, uno come Kahn, regista dei videoclip di Britney Spears e il cui unico lungometraggio è rappresentato da quell’ignominia che risponde al nome di Torque - circuiti di fuoco, è in grado di rappresentare lo straordinario mix di moda e tecnologia del romanzo senza scadere nel fashion patinato? Naturalmente molto dipenderà dalla sceneggiatura sulla quale vige ancora il più assoluto riserbo ma data la natura di progetto da 70 milioni di dollari, le parole di Duncan Jones, regista di Moon, sulla concezione hollywoodiana della fantascienza sono abbastanza esplicative sulla direzione che intraprenderà: "Quando le major si buttano nella fantascienza di solito investono un mucchio di soldi e quindi devono assicurarsi il maggior consenso possibile da parte del pubblico; per questo motivo normalmente il progetto viene adeguato verso il basso. Ciò significa che tutto quello che piace ai veri appassionati di sci-fi non si fa più.” Ricordiamo che William Gibson non è coinvolto nel progetto al contrario del primo fallimentare tentativo di adattamento quando si occupò della stesura del copione insieme a Chris Cunningham.
Bisogna anche ricordare che quando in passato il mondo del cinema ha deciso di sfruttare il potenziale del padre del cyberpunk, i risultati non si sono rivelati incoraggianti. Johnny Mnemonic e New Rose Hotel, entrambi tratti da racconti brevi contenuti nell’antologia “La notte che bruciammo Chrome” (Burning Chrome, 1986), sono tutto fuorchè memorabili.


Johnny Mnemonic
Canada/USA, 1995, colore, 96 min
Regia: Robert Longo
Sceneggiatura: William Gibson
Cast: Keanu Reeves, Dina Meyer, Udo Kier, Takeshi Kitano, Ice-T, Dolph Lundgren, Henry Rollins

Johnny Mnemonic è un racconto breve del 1981 che si inscrive nello stesso universo che verrà successivamente sviluppato nella cosiddetta “Trilogia dello sprawl” costituita da Neuromante, Giù nel ciberspazio (Count Zero, 1986) e Monna Lisa Cyberpunk (Mona Lisa Overdrive, 1988). La successiva “Trilogia del ponte” è invece l’esempio lampante di quanto per uno scrittore diventi difficile proseguire, continuare a far camminare avanti la propria opera, di quanto sia facile che spesso si ripeta, come se avesse esaurito il filone da lui scoperto e ancora si ostinasse a percorrerlo.
Sebbene non ci si avventuri ancora nel cyberspazio, il racconto presenta già alcuni elementi ricorrenti della produzione dell‘autore: lo strapotere delle grandi multinazionali che controllano l’economia globale e le loro lotte di potere, l’alta tecnologia onnipresente e alla portata di tutti e il fatto che i protagonisti sono rappresentati da una manica di perdenti, truffatori e reietti.
La sceneggiatura del film venne affidata allo stesso William Gibson a cui tocca il compito di espandere la ventina di pagine del racconto originale per garantire un’ora e mezza di visione e nel contempo semplificare il più possibile le tematiche cyberpunk tenendo conto di un pubblico non avvezzo al genere. Qualche situazione e qualche personaggio provengono dal racconto omonimo ma Gibson attinge a piene mani dai suoi libri successivi, aggiungendo immersioni nel ciberspazio e un’intelligenza artificiale che vaga nella rete (Neuromante) e una comunità al di fuori dei confini della legge che ha preso possesso di un ponte abbandonato (Luce Virtuale, primo capito della trilogia del ponte).

Johnny (Keanu Reeves) è un corriere mnemonico. Il suo lavoro consiste, grazie ad un chip di memoria impiantato chirurgicamente nel cervello, nel trasportare con discrezione dati trafugati a cui non può accedere coscientemente. Grazie ai suoi servizi non certo a buon mercato, Johnny ha raggiunto un elevato tenore di vita sebbene abbia dovuto sacrificare i suoi ricordi d’infanzia per far posto al chip. Proprio quando si trova ad un passo dal ritiro, il suo agente, Ralfi, facendo leva sull’avidità del corriere, lo convince ad accettare un ultimo incarico per la cifra di un milione di dollari. Johnny si reca in un albergo di Pechino per incontrare i suoi nuovi clienti, due ex dipendenti della multinazionale farmaceutica Pharmakon. Una volta giunto a destinazione scopre che il suo chip non è abbastanza capiente da contenere tutti i dati. Decide comunque di sottoporsi alla procedura di trasferimento durante la quale vengono impostate come password tre immagini random prese dalla televisione che dovranno essere faxate al destinatario. Alla fine della procedura, mentre Johnny si trova in bagno alla prese con un mal di testa lancinante dovuto all’overdose di dati, membri della Yakuza fanno irruzione nella stanza facendo una strage e distruggendo la copia cartacea delle immagini prima che vengano faxate. Riesce miracolosamente a fuggire ma la potente mafia giapponese vuole, letteralmente, la sua testa e inoltre se non riuscirà a liberarsi del carico entro ventiquattr’ore può dire addio al cervello. Inseguito da uno spietato killer munito di laccio monomolecalare in grado di affettare chiunque gli si pari davanti e da un predicatore fanatico pieno zeppo di impianti cibernetici (Dolph Lundgren), viene salvato da Jane (Dina Meyer), una guardia del corpo affetta dalla NAS (sindrome da attenuazione del sistema nervoso), una malattia all’apparenza incurabile che può essere tenuta sotto controllo tramite cure adeguate. Non ci vuole un genio per capire l’entità dei dati trasportati da Johnny, la cui unica speranza risiede in un delfino-cyborg (nel racconto originale anche eroinomane) in grado di decriptarli.

Difficile dire quanto dello script di Gibson sia stato effettivamente portato sullo schermo senza modifiche da parte della produzione, quel che è sicuro è che l’attenzione ai dettagli tipica delle sue opere risulta non pervenuta. Il monologo sul “servizio in camera”, che riesce a donare un minimo di caratterizzazione al protagonista, è sicuramente farina del suo sacco ma nelle mani di Keanu Reeves si spegne. Se già Reeves non è mai stato un campione di espressività e il suo bagaglio recitativo è a dir poco limitato, in quest’occasione offre la peggiore prestazione di sempre, riuscendo a farsi rubare la scena persino da Dolph Lundgren. Almeno quest’ultimo in versione barbuta e lungocrinita, che intima perentoriamente a tutti di pentirsi e snocciola versi della bibbia, è decisamente esilarante.
La trama è riciclata da una spy-story qualsiasi con l’aggiunto di qualche meraviglia tecnologica per affascinare il pubblico dell’epoca e infarcita di dialoghi che nella maggior parte dei casi sono di una piattezza disarmante, come pure i personaggi. Le scene d’azione pur essendo abbastanza statiche vengono rese vorticose da un montaggio serrato ma nel complesso la regia di Robert Longo è piattamente televisiva. Dove il film si risolleva è quando ricorre agli effetti speciali digitali, per quanto risultino ormai datati. La sequenza all’interno del cyberspazio possiede quantomeno di una buona dose d’inventiva. Non che basti questo o qualche buono spunto estrapolato dall’universo gibsoniano per salvare un film vuoto come Johnny Mnemonic.

2 commenti:

Boh non so mah ha detto...

Di Gibson ho letto parecchio ma dopo Monna Lisa ho cominciato a pensare che fosse un fuoco fatuo (e ora ne ho la conferma). Il cyberpunk è stato rivisitato da lui in modo splendido ma poi più nulla.
Johnny mnemonic (il film) è proppio 'na sccchifezza... ;)

Count Zero ha detto...

E New Rose Hotel di un irriconoscibile Abel Ferrara non è certo meglio.
La trilogia del ponte non m'è piaciuta proprio però devo devo dire che le ultime spy story ambientate nel mondo del marketing mi hanno preso. Anche se non hanno niente a che fare con la fantascienza

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