sabato 12 dicembre 2009

Rutger Hauer e la fantascienza di serie-b

Sebbene fosse già noto nella madre patria Olanda grazie a numerose collaborazioni con Paul Verhoeven, la fama di Rutger Hauer è indissolubilmente legata all’interpretazione del replicante Roy Batty in Blade Runner. Il monologo che tira in ballo i bastioni di Orione e le porte di Tannhauser non è affatto andato perduto come lacrime nella pioggia ed è entrato nell’immaginario collettivo. Il buon Rutger lo scrisse (o meglio lo modificò) prima delle riprese e venne accettato da Ridley Scott, completamente esaurito dalle ingerenze della produzione e dai dissapori con la troupe, purchè si finisse di girare il prima possibile. La carriera di Hauer procede tra alti e bassi per buona parte degli anni 80, soprattutto nell’ambito del cinema di genere. Ne sono un esempio il fantasy ambientato nell’Italia centrale (a dispetto dei nomi francofoni) Ladyhawke, il thriller on the road The Hitcher, e l’ultimo film di Peckinpah, il thriller spionistico Osterman Weekend. Sul finire del decennio la parabola discendente è già ben avviata e piuttosto che rassegnarsi a ruoli di comprimario, il Nostro, forse memore del film che ha contribuito alla sua fama, decide di assurgere al ruolo di alfiere della fantascienza di serie-b. Il sacro terzetto è composto da Giochi di Morte (1989), Detective Stone (1992) e Omega Doom (1996). Ma andiamo con ordine.


The Blood Of Heroes (Giochi Di Morte)

Negli anni 80 la trilogia di Mad Max fece scuola e i deserti post-apocalittici popolati da un’umanità allo sbando andavano per la maggiore nel panorama fantascientico dell’epoca. Giochi di morte non fa eccezione. La vicenda ruota intorno ad un fantomatico “Gioco” le cui regole sono molto semplici, due squadre di cinque membri se le danno di santa ragione tentando di infilare un teschio di cane in un paletto. Il componente della squadra preposto a questo compito prende il nome di quick ed è spalleggiato tra tre jugger, bardati come la versione post-apocalittica dei contendenti di American Gladiators. A chiudere il cerchio un tizio armato di catena a proteggere il quick. Sia come sia, alla fine ciò che conta è che tutti se le diano di santa ragione. Sharko (Rutger Hauer) faceva parte della Lega, il campionato ufficiale che si svolge in quanto sia rimasto di più vicino alla “civiltà“, ovvero la sotterranea Città Rossa. Adesso si guadagna da vivere girando di villaggio in villaggio con la sua squadra e sfidando le selezioni locali di poveri derelitti. Ma il suo ritorno è vicino.
David Webb Peoples (sceneggiatore di Blade Runner, L‘Esercito Delle 12 Scimmie, Gli Spietati) firma qui la sua prima (ed ultima) regia prima di tornare a ciò che gli riesce meglio.
Rutger Hauer, quando non grugnisce menando mazzate, esibisce perennemente un sorrisetto sardonico di chi la sa lunga. Joan Chen aggiunge quella componente “bellezza esotica” che tanto andava di moda in quegli anni. Si rende però protagonista della scena più grottesca di tutto il film. Vediamo un suo primo piano di ammirazione estatica del tipo “è questo il mio sogno nella vita”, seguito dalle immagini di due giocatori che si ruzzolano nel fango pestandosi a sangue.
Il resto del cast comprende un Delroy Lindo dall’espressione perennemente perplessa e Vincent D’Onofrio. Quest’ultimo non sembra ancora essere riuscito a scrollarsi di dosso l’espressione ebete di palla di lardo, alla quale aggiunge movenze vagamente scimmiesche. Inguardabile.
Del film esistono due versioni: l’originale del regista e una seconda per il mercato inglese, sforbiciata di un paio minuti che snatura il finale suggerendo l’happy end per tutti. Del sacro terzetto è il film più decente, o meno indecente, a seconda dei gusti.


Split Second (Detective Stone)

A causa dell’effetto serra la città di Londra è flagellata da costanti piogge che hanno fatto salire a dismisura il livello del Tamigi. L’ambientazione ricorda vagamente (o almeno ci prova) l’Amsterdam semi-sommersa presente nell’Elemento del Crimine (che a sua volta deriva dalla visione apocalittica del grande John Shirley nel primo romanzo della trilogia di Eclipse). In questo contesto a tinte dark, tra buie strade parzialmente allagate e tunnel metropolitani ormai inservibili, un serial killer mutante semina morte lasciando dietro di se tracce di macabri rituali. Il detective Stone (Rutger Hauer) è già entrato in contatto con lui anni prima, uscendone profondamente segnato nel corpo e nella mente. Tra i due si è instaurato una sorta di legame simbiotico, che permette a Stone di avvertire il battito del cuore dell’altro quando si trova nelle vicinanze.
L’inizio del film è promettente, un alone di mistero aleggia intorno al killer che presenta caratteristiche decisamente non umane così come intorno alla figura di Stone, e il pulsare del cuore che si sovrappone ai rumori di fondo durante le soggettive del mutante riesce a creare un minimo di tensione. Ma è solo un abbaglio.
Stone viene umanizzato fin troppo rivelandosi un emerito idiota, l’espediente del cuore pulsante viene stra-abusato fino a risultare stucchevole e la vicenda assume tinte farsesche. La spalla comica rappresentata dal collega di Stone poi, è insopportabile quasi quanto la faccia dell’attore che la interpreta (tale Alistair Duncan). Il look del mutante è talmente simile a quello dell’Alien per eccellenza da rasentare il plagio e la scena della mano artigliata che sventra un vagone ferroviario è trash fino al midollo. Troviamo anche Kim Cattral che l’unica cosa di buono che ha fatto nella sua carriera è stata Grosso Guaio a China Town (stendiamo un velo pietoso anche su Sex And The City). Il titolo originale Split Second (frazione di secondo) da noi è diventato Detective Stone, nel tentativo di creare un alone mitico intorno al personaggio principale, peraltro per nulla memorabile.


Omega Doom

Come direbbero i ragazzi di FilmBrutti, qui la visione si fa autopunitiva.
Il sottoscritto non ricorda se è mai riuscito a vedere questo film per intero ma sicuramente non ha alcuna intenzione di cimentarsi nuovamente nell’impresa. Detto questo vado ad illustrare la trama.
La sequenza iniziale, saccheggiando a piene mani da Terminator (budget permettendo), ci catapulta al termine della solita guerra tra uomini e macchine. Gli umani, sconfitti, si sono rifugiati sottoterra mentre i vincitori, suddivisi in due gruppi di cui non ricordo il nome, si contendono quel che rimane del pianeta. Entrambi i gruppi sono alla ricerca di un fantomatico deposito d’armi che permetterebbe agli umani la riscossa. Tra di loro si muove il cyborg dal cervello danneggiato Omega Doom (chi sarà mai…) che, come il Bruce Willis di Ancora Vivo, mira a ottenere che si annientino a vicenda. Il regista Albert Puyn nella sua ventennale carriera ha sfornato un po’ di tutto, dai fantasy ai film sulle arti marziali, oltre ad essere ossessionato dai cyborg. Frullate insieme alcuni elementi dei generi sopra citati ed otterrete Omega Doom. Rutger Hauer si è perfettamente reso conto in cosa si è andato a cacciare e la sua espressione, mai stata così rassegnata, vale più di mille parole.

2 commenti:

Deckard ha detto...

ahahah che ricordi! certo che la fine degli anni 80 ha dato alla luce certe perle...non li fanno più i film "ignoranti" di una volta

Count Zero ha detto...

Non saprei, l'evoluzione dei film "ignoranti" come li chiami tu non è il mio campo. Ma la gente che ci lavora è sempre la stessa. Lo sceneggiatore di split second è lo stesso di the fast and the furious, vedi tu.

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