lunedì 8 marzo 2010

Alien³ - Recensione

Alien³
USA, 1992, colore, 114 min
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: Walter Hill, David Giler, Larry Ferguson
Cast: Sigourney Weaver, Charles Dance, Charles S. Dutton, Lance Henriksen, Brian Glover, Ralph Brown, Danny Webb, Pete Postlethwaite

Nel 1992 il franchise di Alien giunge alla sua terza incarnazione cinematografica. La regia venne affidata all’allora esordiente David Fincher, proveniente dai videoclip e che qualche anno più tardi avrebbe raggiunto la fama con Se7en. Sommerso dalle critiche all’epoca della sua uscita (compresi alcuni nomi eccellenti), Alien³, pur non essendo all’altezza dei suoi predecessori e presentando difetti non trascurabili, non è un prodotto da buttare. Rimane il rimpianto per il film che sarebbe potuto essere se avesse goduto di una sceneggiatura che non fosse il collage di svariati tentativi precedenti che per un motivo o per l’altro vennero accantonati dalla produzione. Alla lunga e travagliata stesura dello script infatti si avvicendarono un numero impressionante di sceneggiatori, tra nomi noti e futuri registi. Inizialmente la sceneggiatura venne affidata al padre del cyberpunk William Gibson. Questa prevedeva l’attracco dei quattro sopravvissuti di Aliens su una stazione orbitale russa, sede di esperimenti genetici, per poi spostarsi su una Terra ormai invasa dagli xenomorfi. Non è chiaro il motivo per cui non venne utilizzata ma, secondo l’ultima versione, pare che il budget a disposizione non fosse all’altezza del progetto. Lo script è comunque reperibile a questo indirizzo. Nel caos che seguì, tra le sceneggiature abortite che lasciarono traccia di sé nello versione finale troviamo quelle di David Twohy e Vincent Ward. Il primo ebbe l’idea di situare la storia su una colonia penale mentre la visione di Ward, regista del suggestivo fantasy Navigator, prevedeva che il film fosse ambientato all’interno di una cattedrale gotica abitata da monaci che rifiutano qualsiasi forma di tecnologia vivendo come fossero nel medioevo. Alla fine ci pensò Walter Hill, autore della prima bozza del film, a fare un collage mantenendo lo spunto di Twohy sul pianeta prigione e adattando le idee di Ward al nuovo contesto. I detenuti che abbracciano una fede apocalittica sono la diretta evoluzione dei monaci di Ward.

Qualcosa va storto a bordo della USS Sulaco. Un incendio causa l’espulsione della navetta di salvataggio contenente i tubi criogeni dei superstiti della spedizione sul pianeta LV-426. L’atterraggio su Fiorina “Fury” 161 non è dei più felici. Al suo risveglio Ripley (Sigourney Weaver) scopre di essere l’unica sopravvissuta e di trovarsi su un’ex colonia penale di massima sicurezza, adesso adibita a fonderia, abitata da circa una ventina di detenuti che hanno deciso di restare e mantenere viva la fiamma pilota dell’altoforno. I galeotti, stupratori e assassini della peggior specie, hanno trovato in Dillon (Charles S. Dutton) una guida spirituale, finendo per abbracciare una sorta di fondamentalismo cristiano di stampo millenarista. A supervisionare questa feccia dal doppio cromosoma Y (che secondo una teoria ormai screditata contraddistingueva assassini incorreggibili) vi sono due tirapiedi della compagnia Weyland-Yutani a cui si aggiunge un ufficiale medico dal dubbio passato (Charles Dance). Ripley ha un brutto presentimento e cerca di scoprire cosa sia avvenuto sulla Sulaco riattivando quel che resta del povero androide Bishop (Lance Henriksen). Come risultato scopre di avere un ospite dentro di sé e che la compagnia, al corrente di tutto, è in viaggio per recuperarlo. Contemporaneamente un altro alieno, fuoriuscito dall’unico cane della colonia, comincia a mietere vittime ma rifiuta di uccidere Ripley perché porta in grembo una regina. Inizia così un gioco al massacro nel quale i galeotti fanno la figura degli scolaretti e Ripley sale sugli scudi con il duplice scopo di eliminare il suo arcinemico e se stessa per evitare che la perfida compagnia si appropri della più letale arma biologica dell‘universo.
Com’è evidente la produzione decise di dare un taglio netto con la strada intrapresa da Cameron e vengono eliminati senza starci a pensare troppo ¾ dei personaggi sopravvissuti ad Aliens - Scontro finale. Il primo a rammaricarsene è lo stesso Cameron che nelle dichiarazioni dell’epoca non manca di esternare un vero e proprio odio nei confronti del terzo capitolo della serie ritenendo che vanifichi quanto di buono era riuscito a costruire nel suo film. Esce così di scena il personaggio del caporale Hicks interpretato da Michael Biehn (ex attore feticcio di Cameron), che nella sceneggiatura di Gibson aveva un ruolo da protagonista, e viene sacrificato il rapporto madre-figlia tra il tenente Ripley e la piccola Newt.
Nonostante le lunghe attese cariche di tensione del primo capitolo della serie siano solo un ricordo, le dinamiche di Alien 3 sono le medesime: un solo alieno e la sua caccia agli sfortunati di turno. Quest’ultimo, in quanto “nato” da un animale, presenta caratteristiche diverse dagli Alien precedenti per quanto riguarda agilità e movenze ma non se ne discosta più di tanto nel look. La produzione per il design dell’Alien contattò inizialmente il creatore originale, il geniale e malatissimo artista svizzero H.R. Giger, che non avrà comunque modo di realizzare il nuovo tipo di xenomorfo dalle spiccate componenti femminili che aveva in mente. Per questioni di tempo si decise di adottare il vecchio modello con qualche piccolo ritocco ma soprattutto di ricorrere ad una CG ancora agli albori che mostra impietosamente gli anni sul groppone. L’alieno meccanico compare ancora nei piani ravvicinati come nella bella inquadratura del volto terrorizzato di Ripley a pochi centimetri da quello dell’alieno, mentre è completamente realizzato in CG quando compare a figura intera e i risultati vanno dal brutto all’imbarazzante. Molto evocativi invece gli scorci del pianeta, che in linea con i mondi della serie è caratterizzato da condizioni climatiche impervie.
Purtroppo la presenza di una sceneggiatura che non è altro che un insieme di spunti messi insieme si riflette anche sul comportamento fin troppo prevedibile dell’alieno e tutto si riduce a un facile gioco “indovina la prossima vittima”.
Il fattore che permette ad Alien 3 di salvarsi e di far dimenticare allo spettatore l’inconsistenza del film è l’affascinante atmosfera cupa e apocalittica con richiami medievaleggianti. In questo contesto dove di tecnologico non funziona quasi più nulla e dove i detenuti si sono riuniti in una setta religiosa, l’Alien viene da subito ribattezzato come “Il Drago“, fatto che gli conferisce a pieno diritto lo status di paura primordiale.
Dal canto suo Fincher non possiede la genialità di uno Scott o di un Cameron ma si produce in qualche guizzo degno di interesse: dopo il Predator anche l’Alien può beneficiare della sua soggettiva durante i vorticosi inseguimenti nel dedalo di corridoi con visuale rovesciata. Certo non siamo ai livelli di tensione prodotti dal getto di un lanciafiamme che passo passo illumina l’oscurità di un condotto o da un rilevatore di movimento impazzito ma meglio che niente. Molto riuscito il finale che apparentemente non lasciava spazio ad ulteriori sequel.

Ecco alcuni artwork dell' Alien³ che non vedremo mai e che si basano sulla visione gotica di Vincent Ward. Sono opera dell'architetto Lebbeus Woods, coinvolto nel progetto durante l'estate del 1990.


9 commenti:

Nana ha detto...

Salve! Scusa se salto così dal nulla ma sono una nuova blogger. Bazzico tra forums e blogs ormai da quasi un decennio e a fine febbraio ho deciso di aprirne uno tutto mio.
Mi chiedevo se magari ti sarebbe interessato un'affiliazione con il mio blog:
http://tystnaden-silenzio.blogspot.com/
Scusa se faccio pubblicità "occulta" ma sono piuttosto inesperta nel campo quindi spero di non averti dato fastidio.
Fammi sapere che ne pensi, ciao

Deckard ha detto...

Non sono mai stato un detrattore di questo film e dopo aver visto questi bozzetti il rimpianto aumenta davvero. Di alien 3 mi ha sempre colpito la sua atmosfera da fine del mondo, di gotico oscuro e medievale. Vedere adesso questi bozzetti mi ha, come dire, illuminato. È strano ma quando molti anni fa guardavo le immagini del film, nella mia mente prendeva forma un contesto del tutto simile a quello della cattedrale gotica spaziale e le mie sensazioni ed emozioni erano dettate dal quel contesto senza alcun riscontro visivo! Ho vissuto così almeno la prima mezz'ora di film. Una vera esperienza.
Ehm meglio che vada a sognare pecore elettriche adesso.

Deckard ha detto...

@countzero
che ne pensi delle sceneggiature scartate?

@faye&case
dove siete finiti?

@nana
almeno prima un commento attinente e poi la pubblicità era troppo?

Unknown ha detto...

Scusate l'assenza, ultimamente sono un pò impegnata a diventare "dottoressa Faye". Si tratta soltanto di una breve pausa, non di un abbandono :P
credo comunque che in settimana riuscirò a trovare un pò di tempo per Golem ;)

Count Zero ha detto...

Deckard finora ho letto per intero solo quella di gibson. L'intenzione era quella di creare un contesto da guerra fredda tra la la capitalista Compagnia e L'UPP, Union Progressive People, cioè i russi. L'attravesamento dello spazio dell'Upp da parte della Sulaco crea un incidente diplomatico e a complicae le cose si aggiunge la presenza degli alieni.
Forse dopo aver letto le altre scriverò un post a riguardo.

Case ha detto...

Presente! Ho cominciato ieri la traduzione di Journey to Saturn un film d'animazione danese

Mark ha detto...

deckard che t'eri fumato?

Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
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