venerdì 13 aprile 2012

A volte ritornano...

Ed eccomi di ritorno. Dopo un lungo silenzio dovuto a molto, molto lavoro e un nuovo blog finto esistenzialista che almeno mi sta dando qualche soddisfazione economica nonostante lo odii profondamente insieme a tutti gli adolescenti, o almeno spero per loro che lo siano, decerebrati che lo frequentano, è ora di tornare nei tranquilli e, ahimè, trascurati lidi di Freezone. Naturalmente non chiuderò l'altro blog perchè sono un venale bastardo (ci tengo a precisare che era nato con le migliori intenzioni comunque) ma nemmeno lascerò Freezone al suo destino come uno Schettino qualsiasi. Sempre nella speranza che questa spinta propositiva non faccia la stessa fine dei buoni propositi di inizio anno. Beh, chi vivrà vedrà. Ne approfitto per chiedere scusa ai quattro gatti che hanno chiesto mie notizie per mail ricevendo in risposta solo il più assoluto silenzio interepretato come menefreghismo. Non ve la prendete a male, trascurato il blog, trascurata la mail che fa capo al blog. Semplice.
Il tempo è tiranno quindi vi lascio con il meglio e il peggio di questi giorni di quiete. A presto!


ARIRANG
Qualche settimana fa l'amico Ralph con tono giustamente accalorato mi parla di questo documentario di uno dei nostri registi di culto, quello sciroccato di Kim Ki-duk, il prezzemolino festivaliero per eccellenza, e immediatamente me ne passa una copia. Ricordo ancora quando anni fa, ben prima del successo di Ferro 3, grazie a quell'altro matto asincrono di Ghezzi scoprimmo quest'uomo vedendo L'isola. Forse furono i personaggi quasi muti impregnati di violenza, forse la nebbiosa ambientazione lacustre che rende indimenticabili le scene oniriche, forse il fatto che eravamo fusi come delle pigne, fatto sta che fu amore a prima vista. E la pesca assunse un nuovo significato. Le proiezioni del Lumiere ci aiutarono a colmare le nostre lacune e archi, mazze da golf e lastroni di vetro infilati nella pancia divennero un immancabile appuntamento annuale fino alla sua completa sparizione nel 2008. Che fine ha fatto questo regista così prolifico e, almeno per il sottoscritto, mai dimenticato? Arirang è la risposta. Pare che sul set di Dream, durante la scena di suicidio, l'attrice protagonista stesse per rimetterci davvero le penne e il nostro, profondamente sconvolto, si sia ritirato in montagna a vivere da eremita. Siccome è innegabile che furbetto lo sia sempre stato, tenne un videodiario di questa esperienza e, conoscendolo, c'è da scommetterci che già si prefigurasse una partecipazione festivaliera, puntualmente avvenuta con tanto di premio. Se il personaggio piace, ci si passa tranquillamente sopra, in caso contrario Arirang non lo si vedrebbe nemmeno. Promosso.

L'ORA NERA
C'era davvero bisogno di questa coproduzione russo-americana che della poetica fantascienza russa non ha nulla e di Skyline ha fin troppo?
La presenza in cabina di regia di Chris Gorak, che quando scrive e dirige tira fuori dal cilindro un piccolo gioiello di paranoia da dopobomba come Right at Your Door, in questo caso non conta: questo è un blockbuster. Un blockbuster per giunta prodotto da Timur Bekmambetov, uno che non ha mai fatto un film nemmeno lontanamente decente. La trama è piuttosto semplice: quattro americani (due programmatori di software e due zoccole) scelgono il momento peggiore per visitare la Russia, ritrovandosi nel bel mezzo di un'invasione di alieni elettrici che si divertono a smaterializzare la popolazione. A fare da sfondo alla vicenda troviamo una Mosca da spot elettorale, ricca e fashion, che pare uscita da una puntata di Californication, insegne in cirillico permettendo. Purtroppo (o per fortuna) le scene con Vladimir Putin, rigorosamente a petto nudo, che scorrazza per la città in sella al suo cavallo e si fa beffe degli alieni a colpi di vodka Kremlin Award sono state tagliate all'ultimo momento. Forse verrano reinserite nella extended edition.Tirando le somme, L'ora nera scorre via, riciclando e scopiazzando, senza particolari sussulti, non raggiunge le vette di idiozia patriottica dei suoi omologhi interamente americani (tra cui spicca World Invasion: Battle Los Angeles) con i quali però perde il confronto dal punto di vista della spettacolarità. Certo ridurre problemi macroscopici, in questo caso la libertà d'espressione in Russia, a frecciatine da popcorn movie è prassi comune ma se lo potevano anche risparmiare.
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